Ci sono tre marchi, corrispondenti ad altrettante linee politiche, che in questo momento vanno per la maggiore tra le aziende italiane ed europee. Il primo è il marchio equosolidale applicabile a quelle aziende che investono non solo in attività di solidarietà ma anche di protezione ambientale nelle varie fasi di produzione delle merci; il secondo è il marchio del “living wageâ€Â cioè il certificato che dimostra che l’azienda sta pagando ai suoi dipendenti uno stipendio dignitoso; il terzo è il “Fair Tax Mark†l’ultimo arrivato dall’Inghilterra traducibile come “il marchio dell’azienda lealeâ€, ovvero quella che paga le giuste imposte. Nessuno aveva pensato al terzo marchio, cioè che un’azienda fosse trasparente e tassata nel modo giusto. Va bene il giusto pagamento, ma è  auspicabile che anche l’imposizione delle tasse sia giusta. Atteniamoci per il momento all’azienda ligia nei confronti del Fisco. Dovrebbe essere normale, ma sappiamo che non lo è. Ed è proprio dall’Inghilterra che si è sentita la necessita di identificare con un marchio (un cuore verde con le parole Fair Tax Mark) l’azienda in regola con il Fisco. Non solo, l’esposizione del marchio garantisce che l’azienda ha le porte aperte agli ispettori della Finanza e che il suo bilancio trasparente non teme controlli. L’idea è di Emily Kenway che vanta una lunga esperienza nella Living Wage Foundation, quella che, come detto, si interessa di far pagare stipendi dignitosi. È la stessa Kenway che asserisce che la sua idea ha una diffusione virale anche oltre Manica, apprezzata più del “bollino†equosolidale e di quello del “living wageâ€. Secondo la medesima direttrice l’azienda leale aiuta a conquistare non solo i consumatori, ma gli eventuali investitori che vogliono conoscere i rapporti dell’azienda con il Fisco. “Chi gestisce le risorse delle varie società vuole chiarezza sui bilanci†che il nuovo marchio garantisce. Non a caso l’iniziativa nasce nel Regno Unito ove sono state orchestrate lunghe campagne contro le aziende che non pagano tasse. Sotto il profilo etico nulla da eccepire, anzi concordiamo con la Kenway, ma sotto l’aspetto operativo nel nostro Paese abbiamo qualche perplessità . Non tanto perché gli imprenditori italiani temono di aprire il loro bilancio allo Stato, ma perché è lo Stato ad essere insolvente nei confronti degli imprenditori e delle aziende. Non solo tartassa gli imprenditori con tasse esorbitanti come in nessuna nazione europea (65-70%), ma non onora nemmeno entro i termini contrattuali il pagamento alle imprese che gli hanno erogato servizi. Si calcola che lo Stato debba ad imprese italiane oltre 65 miliardi di euro, imprese che in mancanza di liquidità non possono sopportare il carico di spese richieste. Risultato. Chiusura di aziende, mancato accesso creditizio, licenziamenti, disoccupazione, e talvolta suicidio di imprenditori. Che è un omicidio di Stato. Invece di difendere l’imprenditoria come grande risorsa della Nazione, lo Stato la umilia, la tartassa e si rende insolvente per prestazioni già effettuate. E gli italiani si chiedono di fronte a questa triste realtà come mai lo Stato si dimentica degli imprenditori che non paga, ma poi risarcisce debiti a banche, come la MPS, di cui non si conoscono i bilanci ma soprattutto si ignora a chi e come hanno dato denaro. Manca la trasparenza. Chissà se la Emily Kenway ha mai pensato di estendere il “ marchio delle Aziende Leali†anche alle Banche? Già , lei opera nel Regno Unito ove le banche non hanno bisogno di bollini: la lealtà è da sempre nel loro Dna.