La tanto auspicata legge diretta ad equiparare lo stato giuridico dei figli, indipendentemente dalla presenza o meno di un vincolo matrimoniale tra i genitori, ha visto finalmente la luce. È stata infatti recentemente pubblicata la legge 10 dicembre 2012, n. 219, che mira ad eliminare qualsiasi residua distinzione tra figli legittimi, ovvero nati da genitori sposati, e figli naturali, ossia procreati fuori dal matrimonio. La normativa modifica alcuni articoli del codice civile, proseguendo un percorso di parificazione già iniziato con la riforma del diritto di famiglia del 1975 e successivamente proseguito, non solo dal legislatore, ma anche dalla giurisprudenza. Con l'entrata in vigore della nuova legge, le anacronistiche locuzioni "figli legittimi" e "figli naturali" spariscono dal codice civile, per lasciare il posto alla più generale espressione "figli", senza alcun aggettivo discriminatorio. Ai figli di persone non unite in matrimonio viene riconosciuto un vincolo di parentela, non solo con i genitori, ma anche con il resto della famiglia (nonni, cugini, zii), con ripercussioni nel campo dei diritti ereditari, in aderenza al principio di unicità dello stato di figlio. Cade anche ogni differenziazione in materia di riconoscimento, che viene oggi consentito anche al padre e alla madre "già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento". Le modifiche investono anche il campo processuale, ridefinendo le competenze del Tribunale ordinario e del Tribunale dei minorenni. La legge affida inoltre al Governo il compito di modificare, entro un anno, le disposizioni che realizzano una discriminazione tra i figli, anche adottivi, dettando una serie di principi e criteri direttivi. Il legislatore ha dunque adeguato la disciplina in materia all'evoluzione della società e all'eterogeneità delle famiglie odierne, che sono spesso caratterizzate da nuclei di fatto, consentendo così il superamento di una visione ormai vetusta, contrastante con il diritto europeo e con tutte le fonti sopranazionali.