Un Achille Castiglioni a metà

Venerdì, 31 Marzo 2017,
Non è stata scritta una storia di Achille Castiglioni e della sua vita e noi, della famiglia, siamo stati assorbiti dalle vicende dello studio-museo, prima e dalla realizzazione della Fondazione Achille Castiglioni, dopo. Giovanna ed io abbiamo, a volte, difficoltà a parlare di Achille se non altro perchè possiamo dire che è stato un grande designer, ma quando vogliamo raccontare il padre, i nostri ricordi si sfumano e divergono quasi che potremmo pensare di avere avuto due padri in un designer. Quindi, per scrivere queste righe abbiamo deciso di raccontare questa storia dividendoci così equamente nostro padre. Io sono Carlo, il più grande, e i miei ricordi vanno a ritroso alla mia infanzia, ma anche all'inizio della vita professionale di Achille. Sono nato pochi anni dopo la fine della guerra e i miei ricordi raccontano di un periodo nel quale la nostra famiglia era coesa, quasi patriarcale. La domenica si andava tutti a cena dai nonni Castiglioni, e quando dico tutti intendo: Achille, mia madre, io ma anche le famiglie dei fratelli di Achille in altri termini una banda numerosa e gioiosa. In quegli anni lo studio di Achille e del fratello Pier Giacomo era ancora a Milano, in corso di Porta Nuova al 57, nello stesso luogo dove vivevano i nonni. Io ero il più piccolo dei nipoti e quindi molto timoroso dell'attività che Achille ed il fratello svolgevano nello studio, tuttavia quel periodo (già anni '50 del secolo scorso) mi è rimasto nel cuore e forse ha segnato la mia vita. Achille e Pier Giacomo, in quegli anni, lavoravano molto, forse troppo, ma lo facevano con uno spirito e una voglia interiore che travolgeva tutti sia nella nostra famiglia che fuori. Achille si recava al lavoro su quello che oggi potremmo chiamare una specie di moto, "Il guzzino" della Guzzi, una via di mezzo fra una moto vera e quella che poi sarebbe stato chiamato ciclomotore. Pier Giacomo utilizzava una delle prime lambrette (quella con il telaio a vista per intenderci) mentre l'auto ce l’aveva solo il nonno Giannino. Il mezzo di trasporto ovviamente non è fondamentale per la storia, ma mi permette di sottolinearvi come non si vivesse da nababbi, ma sorretti da una forte speranza nel futuro. Achille e il fratello lavoravano tutto il giorno e normalmente ritornavano al lavoro anche dopo cena e il sabato, per questo solo la domenica Achille aveva del tempo per stare con me. Sebbene il tempo fosse limitato, il pensiero di Achille andava sempre allo studio, è stato in queste ore passate con lui che spesso si tornava in quel luogo dove i Castiglioni procedevano al rito della progettazzione creativa. Qui spesso si incontrava con il fratello e con gli amici di lavoro uno fra tutti il grafico Max Huber, con loro si creava un clima d'intesa di condivisione che difficilmente ho potuto riscontrare poi nel corso della mia vita. In quegli anni Achille ha realizzato molti progetti di design, ma dal mio punto di vista i più importanti mi sembravano gli allestimenti che venivano realizzati per la Fiera Campionaria di Milano. Ad aprile di ogni anno io ero in attesa di questo evento, infatti, negli ultimi giorni prima dell'inaugurazione tutti lavoravano giorno e notte per completare i padiglioni. Achille ogni anno mi portava una delle ultime sere con lui in questo mondo "fatato" dove falegnami, elettricisti, pittori ma anche grafici e architetti lavoravano all'unisono per uno stesso obiettivo, finire in tempo. In questi momenti ho potuto vedere come tutte queste persone, di estrazione così differente, potessero operare assieme e sovente i Castiglioni spostavano casse e pareti di legno mentre grafici come Max Huber o Tovaglia dipingessero direttamente sulle pareti le scritte e i disegni che avevano ideato. Negli anni '60 lo stabile di corso di Porta Nuova fu abbattuto, troppo vecchio, e lo studio viene portato in Piazza Castello al 27 dove lo trovate ancora oggi. I Castiglioni cominciano a diventare conosciuti e stimati, ma la vita nello studio come archetipo del lavoro era rimasto. Purtroppo nel 1968 il fratello Pier Giacomo muore, per Achille questo fu un momento difficile infatti i due erano stati in simbiosi per quasi vent'anni. Qui inizia la nuova vita di Achille, prende la libera docenza ed inizia la sua vita di professore universitario, apre così un rapporto unico e irripetibile con gli studenti che hanno imparato ad amarlo e continuano a farlo ancora oggi. A questo punto della storia arriva il “secondo” padre, un Achille che a 54 anni diventa padre per la seconda volta, a detta sua, inizia una bella e inaspettata sfida. È un uomo nel pieno della sua carriera, con i capelli grigi e con gli occhi blu, vispi e scintillanti, che esprimono tanta voglia di lavorare, lui sempre sereno e fischiettante. Non certo come avviene oggi, l'impegno di Achille in quegli anni trovava un giusto equilibrio tra studio, gioco, viaggi, conferenze, lezioni universitarie, i miei compiti e la vita di casa. Achille diventa dopo gli anni ’70 un designer affermato, un architetto stimato, ma per me continua ad essere un amico, un fratello, un compagno di giochi e perché no un padre…a volte un nonno (che nervi). Quando entravamo nei negozi era molto comune sentire la frase: “ciao, sei venuta con i nonni a fare la spesa?”. In effetti mia madre Irma ha avuto i capelli bianchi già a 18 anni e mio padre lo ricordo da sempre con i capelli grigi, ecco perché per me i miei genitori non sono mai invecchiati e questo mi ha sempre portato a rispettare tutti coloro che avevano una certa età, i “grandi” e non gli anziani.  Sono stata sempre contornata da tanti “giovani grandi” e i pensieri mi rimandano ad indimenticabili pomeriggi di gioco e lavoro con Max Huber e sua moglie Aoi, ore di musica jazz, colori su fogli bianchi, gatti danzanti sui tavoli e oggetti meravigliosi che potevo toccare con moderazione, ma che venivano condivisi con questa bimba un po’ scatenata che ne combinava “una peggio di Bertoldo”, curiosa “come una volpe”, con “occhi di lince” e costantemente ammaliata dal fumo delle sigarette. E loro quattro insieme mi facevano sentire grande, perché già a 4 anni potevo bere la birra e gli altri bambini no! Ho scoperto solo pochi anni fa che la birra che mi davano e che mi piaceva tantissimo, in realtà era allungata con la gazzosa ticinese, ma l’inganno era perfetto! Gli incontri con Bruno Munari di solito avvenivano all’aria aperta e per tenermi occupata mi mandavano, da sola nel bosco a cercare legnetti che poi ho scoperto diventavano sculture in movimento. Mi sono sentita spessissimo contornata da adulti bambini che, giocando, andavano avanti a progettare, “ragazzi” che non si sono mai presi troppo sul serio, che hanno usato nella loro comunicazione al mondo una piacevole ironia e a volte un tagliente sarcasmo. Penso ancora a mio zio Livio e alla zia Pinni, agli amici di sempre Giancarlo e Memi Pozzi, a Mario e Anni Di Benedetto, a Lea ed Enzo Mari e a molte altre coppie che mi hanno dato uno splendido esempio di come, tutti e in modo estremamente diverso, si possa vivere la vita amando il proprio lavoro e gustandosi passeggiate tra boschi e mostre di architettura, design e arte contemporanea. Ho scoperto chi era il designer Achille Castiglioni nel 2006 quando ho iniziato a lavorare nel suo studio, oggi Fondazione Achille Castiglioni, come guida museale, come voce narrante di un maestro dell'industrial design, del suo vissuto lavorativo, ma anche delle storie che sono nate dietro agli oggetti. Oggi credo possa essere utile condividere con le nuove generazioni il racconto di come il lavoro, se fatto con passione, possa attingere da giochi, viaggi, musica, curiosità e ironia, ingredienti cardine del modo di vivere "alla Castiglioni". Giovanna e Carlo Castiglioni

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