Collaborative Service Design Thinking: un'iniziativa globale

Giovedì, 30 Marzo 2017,
Il Design sta attraversando un periodo di forte interesse da parte delle imprese, non più solo per la capacità di generare valore attraverso prodotti, ma per quella di concepire servizi innovativi e – ancora di più – di cambiare l’attitudine dell’organizzazione stessa nei confronti dell’innovazione e delle sfide che è chiamata ad affrontare in una società in continua e rapida trasformazione.   Proprio quest’ultimo aspetto rende il mercato attuale privo dei tradizionali punti di riferimento e di conseguenza rende obsoleti gli approcci consolidati al mercato: sempre più spesso si parla di Design dei Servizi e di Design Thinking (spesso anche nella formula “Service Design Thinking”) come di un approccio in grado affrontare questo cambiamento, formando il management aziendale nel modo di generare innovazione e strategia “pensando come pensa un designer” e ragionando in termini di “sistema prodotto”.   Una disciplina, il Design dei Servizi, e un metodo, il Design Thinking, che condividono un approccio centrato sulla persona, sulla definizione di una esperienza legata al sistema di relazioni che si vogliono stabilire fra le persone, i luoghi e le cose, chiedendo in primo luogo al designer di unire alle proprie capacità progettuali una abilità strategica e di comprensione dei comportamenti e delle abitudini dell’utente e di lavorare a un concetto di innovazione non più legato esclusivamente alla sfera tecnologica, ma all’evoluzione dei comportamenti sociali, alle modalità di utilizzo delle risorse e – non ultimo – alla ridefinizione dei ruoli fra impresa e utente finale. Da questi fattori nasce la propensione del Service Design Thinking a “coinvolgere” i vari attori di un progetto – dal designer all’impresa, dal fornitore all’utente finale e così via – in un processo aperto, condiviso e partecipativo: un processo che ha le sue regole d’ingaggio precise e che sta suscitando l’interesse della comunità creativa internazionale.   Su questi temi, Paco Design Collaborative, associazione no profit che si occupa di innovazione sociale, con il patrocinio di ADI Lombardia, organizza ogni anno alcuni eventi legati alla Global Service Jam, una maratona mondiale di progettazione, ideata da Markus Hormess e Adam Lawrence di Work.Play.Experience nel 2011 e che è riuscita a raccogliere nei suoi sette anni di vita più di 8.000 “design enthusiasts” da oltre 120 città in 50 nazioni differenti.   L’evento ricalca l’idea della “jam” musicale dove i partecipanti sono chiamati a suonare insieme improvvisando su un tema: la sfida è quella di concepire e prototipare servizi innovativi in solo 48 ore. Il sottotitolo della Jam è “solo 48 ore per cambiare il mondo” e può sembrare un po’ pretenzioso, ma alla fine mostra quanto produttiva, collaborativa e divertente possa essere l’energia creativa sprigionata da un gruppo di lavoro con esperienze diverse in un solo weekend e lascia a tutti i partecipanti immaginare quanto potrebbe esserlo ogni giorno se solo organizzato differentemente.   Le regole di una jam sono semplici e possono riassumersi in due soltanto: “Costruisci sull’idea dell’altro”, senza pregiudizi, e “doing not talking”, non limitandosi a discutere una idea, ma mostrando come funziona. Alla jam dunque non si parla di Design dei Servizi, ma si fa Design dei Servizi, ragionando di “user experience”, di modelli di business, realizzando prototipi funzionanti. Anche per questo la jam si è rivelata da subito un momento di condivisione di strumenti e metodologie progettuali fra professionisti, diventando momento di confronto fra le diverse anime del Design dei Servizi nel mondo, da quelle più incentrate sulla esperienze digitali a quelle, per esempio, focalizzate alla resilienza e alla partecipazione cittadina. Uno spirito che su scala globale porta alla creazione di più di 350 prototipi di servizi ogni edizione, che vengono condivisi su una piattaforma aperta e consultabile da tutti (http://planet.globalservicejam.org).   Ma il successo della jam va oltre i progetti condivisi, alcuni dei quali riescono ad essere implementati e realizzati. Sta nella capacità di generare un cambiamento nella percezione delle prospettive di vita e professionale dei partecipanti, generando nuove collaborazioni permanenti o nuovi formati di condivisione. Sta soprattutto in una “jam community” presente in tutto il mondo: una comunità di individui che riconoscono al Design la capacità di cambiare, passo dopo passo, il mondo in cui viviamo. Fabrizio Pierandrei

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