Franca Sozzani, la gladiatrice in pelliccia

Mercoledì, 03 Gennaio 2018,
Moda,
“Era avanti, non solo rispetto alla nostra epoca, ma anche rispetto al nostro coraggio”. Lo ha detto Anna Wintour lo scorso giugno, presentando il Cfda Fashion Icon Award di quest’anno, assegnato alla storica direttrice di Vogue Italia Franca Sozzani, scomparsa a dicembre 2016.   Sono già passati più di nove mesi dalla morte di questa anima leggendaria.  In un mondo mutevole come la moda, forse è difficile credere che la perdita di una persona possa causare un impatto così profondo. Anche oggi sfogliando il suo profilo Instagram, si vedono innumerevoli nuovi post in memoria della sua vita e del suo lavoro. Franca Sozzani non è un nome comune. Nata nel 1950 in una famiglia della classe media a Mantova ha mostrato la sua straordinaria intelligenza fin da giovane. Un acume che l’ha aiutata nello studio di filologia, letteratura germanica e filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano e che si è riflesso immediatamente nelle sue scelte professionali.   "La moda non tratta mai veramente di vestiti, ma di vita" diceva Franca Sozzani fin dall'inizio. E con la moda lei ha sottolineato l'unicità della propria visione.    Dopo avere cominciato come assistente presso Vogue Bambini, si è fatta strada gradualmente e velocemente. Nel 1980, è diventata direttrice di Lei.  Ha capito subito il valore della fotografia di moda e grazie al suo sostegno e al suo istinto sono nate nuove star: Bruce Weber, Peter Lindbergh e soprattutto Steven Meisel, che in quasi 30 anni ha scattato quasi tutte le copertine di Vogue Italia e contribuito a creare lo stile inconfondibile della rivista, rendendola così la più avant-gard del colosso editoriale americano Condé Nast.    Nel 1988, Franca Sozzani è arrivata al timone di Vogue Italia, che in quel periodo era niente più che un catalogo: antica, noiosa, polverosa. La missione era chiara seppure gravosa: galvanizzare la reputazione di Vogue e riportare la rivista ad una sorta di incanto.   Ha rapidamente identificato il problema: trovare una lingua comune che andasse al di là della bellezza dell'italiano. Perciò ha creato un nuovo idioma universale che appartenesse solo a Vogue Italia, un linguaggio che non aveva bisogno di traduzione e poteva colpire direttamente il cuore dei lettori: il linguaggio delle immagini.    Con una narrazione forte e uno stile audace, sottile e provocatorio, ha fatto tornare la rivista sulla ribalta globale. Grazie a lei Vogue ha saputo nuovamente riflettere la società e rispecchiare lo spirito dei tempi.  I suoi editorials hanno fatto epoca: Linda Evangelista che irride la chirurgia plastica. Kristen McMenamy sdraiata sulla spiaggia come un'Ofelia coperta di piume e  detriti, ad additare lo scandalo del petrolio Bp invasivo come un'ecatombe. O il primo Black Issue, fatto di sole modelle di colore, completamente esaurito anche dopo essere stato ristampato due volte.    La ribellione e un po' di follia erano sempre la sua carta vincente. "Se non c'è controversia, non c'è opinione", diceva.  Dal mondo virtuale di Twitter alla pandemia influenzale, fino alla violenza del terrorismo, ha dato voce alle immagini, dimostrando ancora una volta che la moda non racconta solo la bellezza, ma ognuno di noi.   Durante la scorsa Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, è stato presentato un documentario dedicato interamente a lei e girato da suo figlio Francesco Carrozzini. "Penso sia bello lasciare una traccia anche se in realtà, la traccia più bella la lasci con i figli. Ma se la lasci indipendentemente dalla tua famiglia, diventi parte della storia". È ancora una delle sue affermazioni chiave.  Quella consapevolezza di appartenere alla storia che va oltre tutte le mode. Che commuove e incanta. Chen Zihao

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