La fotografia: una magia che ferma un istante e lo consegna all’eternità

Mercoledì, 03 Gennaio 2018,
Moda,
Se Henri Cartier Bresson non avesse mai contratto la malaria probabilmente non avrebbe fatto precipitoso rientro in Francia dal suo viaggio in Africa. E probabilmente non avrebbe mai visto la bella foto di Martin Munkacsi “Tre ragazzi sul Lago Tanganyika“, che racconta di tre ragazzi, appunto, che giocano tra le onde. L’episodio ha un peso nella storia della fotografia perché si racconta che proprio quella foto abbia determinato in Bresson la volontà di raccontare in immagini le vite degli altri. In tutta la sua vita lui lo farà bene, assolutamente bene, con la consapevolezza che fare una foto – lo dico con parole sue – “è difficile. Difficilissimo. Un punto interrogativo poggiato su qualcuno”. Mi è molto caro il tema del punto interrogativo. Mi è caro perché mi permette di affrontare un tema di grande fascino: una foto racconta più dubbi che certezze. Parlo di me e parlo per me, ovviamente. Parlo del tempo che mi serve per guardare, infinitamente più lungo di quello che mi serve per scattare. Parlo del tempo che fermo e racconto nonostante la mia volontà. Parlo del tempo che mi contamina e non si ferma mai. Parlo del mio tempo, ma soprattutto del tempo degli altri. È buffo tutto questo. Uno strappo alla logica. Una fotografia apparentemente ferma un istante e lo consegna all’eternità. In realtà, nella mia esperienza personale, quella fotografia sintetizza un insieme di emozioni, mischia i ricordi fra di loro e mi accompagna con il sapore di quegli istanti, mi restituisce il senso di quel viaggio e finisce per astrarmi del tutto proprio da quel momento specifico. Una fotografia sta negli occhi di chi guarda. Sono certo di questo. Ma mi piego poi sul dilemma: gli occhi miei – l’autore – che guardo prima di farla? O tutti gli altri occhi, di chi guarda poi la foto? Non è un dubbio formale, perché mi piacerebbe pensare che ogni spettatore, ogni casuale osservatore, fosse in qualche modo anche un autore. Ogni persona che guarda vede ciò che sente, e questa è una grande magia. Ogni giro di giostra cambia minimamente il bambino. E ogni singolo bambino cambia minimamente il luna park. “E proprio perché il nostro mestiere è aperto a tutti – rubo un’ultima riga a Cartier Bresson – resta nella sua allettante semplicità, molto difficile”. Ma è cambiato qualcosa di fondamentale, da quando lui disse questa serena verità. È sparito il rispetto delle pieghe del tempo. È cresciuto a dismisura il numero degli autori. È cresciuto a dismisura il numero degli strumenti. È diminuito il tempo che abbiamo a nostra disposizione. Abbiamo meno tempo per scattare una foto. Abbiamo meno tempo per guardare una foto. Fra le persone che fanno fotografie e le persone che guardano fotografie resta in mezzo soltanto l’immagine. Che oggi non è sempre difesa dal sacro rito della stampa. Oggi viene spesso postata in rete in modo immediato, fatta in fretta, scelta in fretta, vista e piaciuta. O non piaciuta. Non è importante. La parola che governa, in questa serie di azioni, è “vista”. Ciò che più si vede più potente diventa. Io scrivo in modo emotivo, e un po’ disordinato. Però scelgo i termini con una certa accuratezza. Ho scelto di scrivere potente perché non volevo passare il concetto che la qualità abbia nulla a che vedere con la viralità di un’immagine. Si conta il numero di like, non la qualità del like. Helmut Newton diceva di essere un voyeur, e aggiungeva che chi come fotografo non lo ammettesse sarebbe un cretino. Epperò anche nella figura del voyeur c’è un certo intimismo. C’è la volontà di carpire qualcosa per noi stessi. Un voyeur è legato da un filo invisibile ad un punto interrogativo. Invece il processo mediatico che genera il blogger rockstar, che fotografa seduto in prima fila e fa foto nella consapevolezza di essere fotografato a sua volta, è l’esatto contrario di chi ruba intime e malevole emozioni. È la sublimazione del gesto estetico. Viva la comunicazione globale. Rileggo queste righe e ho la sensazione che si possa pensare che non ho stima o simpatia per i blogger in generale. Niente di più falso. Amo ogni tentativo di creare nuovi modi di comunicare, e amo anche le immagini pronto uso che narrano la realtà in tempo reale. Il senso del mio intervento era solo raccontare le similitudini e le differenze fra le foto che faccio io e quelle proposte con grande energia da mille meravigliosi blog che raccontano la moda al tempo dei likes. Tirate le somme è un problema filosofico. Il like è una certezza oggettiva, una foto – perdonate un’ultima citazione, copyright Diane Arbus – “è il segreto di un segreto. Più cose ti dice, meno cose tu sai”. Federico Garibaldi

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