Magner bein: Modena e il suo Bensone

Domenica, 05 Febbraio 2017,
Modena val bene un “bensone”. Farina, uova, burro, zucchero, scorza grattugiata di limone e lievito. Semplice quanto tradizionale a Modena, arricchito se si vuole di una farcia di marmellata di prugne o amarene, chè lì accanto, a Vignola, crescono ciliegi a meraviglia. Colline di ciliegi. Acqua o latte per impastarlo in quella sua forma, una esse allungata, una sorta di ovale pennellato con rosso d’uovo e ricoperto di granella di zucchero. Il bensone è storia di terra profumata di buono e di “rezdòre”. È storia dell’Emila Romagna e della sua fantastica materia prima che rende sublime anche un dolce semplice e casalingo. L’etimologia del nome, in dialetto “bensòun”, è attribuita dagli studiosi alla ritualità di certe feste religiose come“ pane della benedizione”, infatti si faceva benedire in chiesa il sabato santo. Più recentemente si è proposta la derivazione da “bissòun”, cioè biscione per quella forma allungata e per il nome la “bèssa” che ancora gli si attribuisce nel Carpigiano. Anche nel Seicento troviamo nominato il biscione di marzapane da parte del cuoco Giuseppe Lamma da Bologna, e nelle carte d’archivio del ricettario dei Conti Valdrighi leggiamo di un biscione di Reggio Emilia di marzapane e di un biscione o “binsone” relativo a un impasto modenese. Sembra fosse offerto anticamente, già dal XIII secolo, alle Corporazioni modenesi dei fabbri, orafi e zecchieri. La ricetta è di quelle familiari e quindi rispettata dalle “rezdòre” modenesi, le donne che “reggono” la casa, che preparavano e preparano con lo stesso impasto anche una ciambella, la “brazadela” che veniva e viene regalata dai cresimandi, al posto dei confetti, ad amici e parenti. Secondo una consuetudine della Diocesi modenese infatti il sacramento era impartito soltanto in Duomo, la domenica di Pentecoste, a ragazzi e ragazze del comune di Modena e solo il lunedì successivo a quelli della Bassa e della montagna. In quei giorni le strade vicino alla cattedrale si riempivano di bancarelle che vendevano queste ciambelle. Il foro centrale serviva a portarle infilate in un braccio durante i giorni della festa. Il bensone è splendido se “tocciato”, cioè inzuppato in un bicchiere di Lambrusco alla fine del pranzo, anche se alcuni modenesi preferiscono l’Albana o la Malvasia nelle loro versioni dolci. Ma il bensone è anche quello della mamma o della nonna che vuol dare ai figli o ai nipoti una prima colazione o una merenda sana e genuina. “Al dòlz d’la dmanga l’era quesi seimper al bensòun fat de la nona ch’l’era vecia, vecia, ma togo dimàndi, in sti lavor la dèva ‘na man a so fiòla, ch’ l’era rezdòra da pòch.[…]”. Il dolce della domenica era quasi sempre il bensone fatto dalla nonna che era molto anziana, ma ancora brava in tutto, e in questi lavori dava una mano a sua figlia, che era rezdòra da poco tempo. (Il pranzo della domenica. Da: “Come si mangiava e si mangia a Modena” - Beppe Zagaglia. Edizioni Il Fiorino). RICETTA Il Bensone è: 600 g di farina, 200 g di zucchero, 150 g di burro, 3 uova (più 1 per pennellare la superficie), 1 limone, facoltativo ½ bicchiere di latte, una bustina di lievito per dolci da ½ kg, sale q.b., granella di zucchero. Sopra una tavola di legno mescolate la farina con il lievito, aggiungete lo zucchero, la scorza del limone grattugiata (solo la parte gialla), le uova, una presina di sale, il burro liquefatto e  lasciato intiepidire e il latte, se necessario, per ottenere un composto omogeneo e morbido. Lavorate bene l’impasto e dopo avergli dato la classica forma allungata, ponetelo su una placca ricoperta da carta da forno. Praticate ora una piccola incisione continua sulla superficie nel senso della lunghezza, pennellate con il tuorlo d’uovo e cospargete con granella di zucchero. Ponete in forno già caldo facendo cuocere a 180° per circa 35- 40 minuti. Provate a fine cottura a infilare nel bensone uno stecchino che, estratto, dovrà  risultare asciutto. Lasciate raffreddare e servite.

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