21.09.20 , Eventi , Daniela Castellucci
Sette giorni potrebbero essere pochi ma sufficienti per cogliere l'occasione, se ancora non foste andati, di vedere la mostra "L'Europa della luce, George De La Tour" a Palazzo Reale di Milano.
Avrebbe dovuto essere esposta dal 7 febbraio al 7 giugno 2020, ma ha subito come tutti l'emergenza sanitaria causata dal Covid-19, riaprendo soltanto per una settimana a marzo per piegarsi poi al lockdown e riaprire ufficialmente, nel rispetto delle normative vigenti, dal 28 maggio. Nonostante tutto ciò, la sua potenza ha acceso e illuminato letteralmente gli animi, infondendo speranza di ripartenza tramite l'arte delicata dello straordinario pittore seicentesco.
Per la prima volta in Italia le operere di De La Tour sono state esposte al pubblico e se consideriamo che nel Nostro Paese non vi è conservata alcuna sua opera e che il numero di attribuzioni certe è solo 40 -di cui 13 esposte in mostra- l'occasione diventa rara, imperdibile. Ma perché dovremmo affrettarci e non perdercela?
Innanzitutto ciò che risulta chiaro è che George De La Tour, così come Honthorst, non perse l'occasione a suo tempo di visitare l'Italia e osservare le opere di Caravaggio, il cui studio sulla luce e chiaroscuri tragici e vibranti sono stati punto cardine nella pittura seicentesca europea.
L'arte di De La Tour indaga sul concetto della luce, quella fioca degli interni del tempo a lume di candela, ma a differenza di Caravaggio, la tragicità si trasforma in intimismo. Il dialogo che si crea fra il soggetto rappresentato e l'atmosfera, porta inevitabilmente l'osservatore a un'introspettività che trasforma il quadro in metafore e rimandi dalle sfumature private.
Non si assiste a composizioni piene di pathos, ma ci si trova davanti a composte raffigurazioni quantomai reali nei più piccoli dettagli, che fanno sentire molto vicini all'opera, quasi fino a entrarvici dentro.
Il gioco costante fra spettatore e soggetto è sottile e acuto per tutto il percorso della mostra, come in "Vanitas", di Jacobbe (Giacomo Massa) esposto nella prima sala. Una ragazza dal volto delicato indica un teschio, mentre regge uno specchio: il teschio, simbolo della caducità della vita, è disposto di fronte allo specchio, eppure non ne è riflesso. Lo specchio dalla nostra prospettivasembra non rifllettere nulla se non la flebile fiamma di una candela, richiamando inevitabilmente lo spettatore, che diventa protagonista esso stesso. Siamo noi a rispecchiarci in quello specchio e vedremmo la nostra immagine a monito di riflessione sulla brevità della vita, sulla vanità delle cose terrene. E ancora, quello specchio potrebbe apparirci come una porta, un accesso che conduce altrove, a un'altra vita, illuminata dalla luce divina, che in questo caso la candela simboleggia. La lettura delle opere, al di là della Critica dettata dall'audioguida, porta il visitatore a una costante partecipazione, per tutto il percorso espositivo.
Sempre nella prima sala, protagonista è la "Maddalena penitente". La famosa opera di De La Tour raffigura una giovane donna coi capelli sciolti, in una camicia ampia da notte alla luce serale di una candela. Osserva e tocca con un dito anch'essa un teschio, simbolo della Vanitas umana, che a sua volta si riflette in uno specchio da toeletta. L'intensità emotiva del dipinto è caratterizzata da una naturale pacatezza, che tuttavia quasi viene disturbata dal riflesso del teschio nello specchio, che raffigura in realtà qualcosa di diverso, più simile a un cranio in decomposizione con naso cadente e incavo degli occhi chiuso dalla pelle. La rispondenza fra il volto sereno e assorto in pensieri distaccati di Maddalena, il teschio e lo specchio porta a pensare alla inesorabile decomposizione del corpo, come fosse un affiorare di pensieri, di ansie, demoni privati nel più intimo momento, prima di dormire.
Il percorso si articola in otto sale, l'esposizione è chiara e lineare, risente del periodo storico che stiamo vivendo, con qualche opera mancante che è stata richiamata dal luogo d'appartenenza, ma la magia avvolge tutte le sale, portando il fruitore a conoscere sempre di più il Pittore lorenese, che sperimenta anche verso la fine della sua vita, regalando opere come "I Giocatori di dadi", del 1651.
Qui la luce leviga e disciplina a campiture piane la matericità del colore, i chiaroscuri diventano più netti, la luminosità sovraesposta rende più lisci e meno reali i volti. Eppure tutto sembra così naturale, reale e dinamico pur nella staticità composta dell'opera, che fa da contraltare al realismo quasi esasperato nei minimi dettagli di un più giovane De La Tour nell'opera disposta accanto, "La rissa tra musici mendicanti", del 1625. L'azione è incredibilmente realista, dinamica, patetica nel dettaglio del musico che strizza un limone negli occhi dell'avversario, rappresentato con un'occhio semi chiuso e l'altro in evidente difficoltà. Siamo in mezzo all'azione eppure distanti. Il gioco di richiami è ancora una volta dettato dalle figure ai lati, che come guardano verso l'osservatore come fossimo di fronte a una scena di teatro.
Di grande impatto psicologico è "Giobbe deriso dalla moglie", del 1651. Quante volte, almeno per un istante, ci siamo sentiti piccoli e scaleni nelle nostre fragilità eppure abbiamo tenuto fede a noi stessi, nonostante sensazioni tese a sminuirci, rimpicciolirci, portarci al dubbio delle proprie certezze. Giobbe è un anziano quasi nudo, la cui età è evidente in ogni piega della pelle sul petto, sulla schiena. Il volto come segnato da un'ingenua demenza senile guarda la moglie, che lo sovrasta in maniera esageratamente ostentata.
Visitare la mostra è un viaggio dentro alle opere, dentro a se stessi, dentro alla Storia dell'Arte, grazie alla quale oggi abbiamo riscoperto questo prezioso Pittore della luce.
Fino al 27 settembre, a Palazzo Reale, Milano. Aperta Martedì, Mercoledì, Venerdì, Sabato e Domenica dalle 09.30 alle 19.30, con ingresso serale il Giovedì, dalle 09.30 alle 22.30.
RIFLESSO
Registrazione Tribunale di Perugia n.35 del 09/12/2011
ISSN 2611-044X