Un ministro di spicco del passato governo asseriva che la cultura non fa PIL. D'altra parte, recentemente, in occasione della pubblicazione sul "Sole 24-Ore" del "Manifesto della Cultura" si asseriva proprio il contrario: "la cultura fattura". Qual è la verità? Non c'è dubbio: la cultura appare necessaria allo sviluppo in qualsiasi frangente, soprattutto, come enfatizza Vittorio Sgarbi, quando asserisce che per cultura si intende "una concezione allargata che implichi educazione, ricerca scientifica e conoscenza". Ciò stimola l'assegnazione alle forze vive locali un ruolo principe nella salvaguardia e potenziamento delle opere d'arte e nella valorizzazione degli artisti. Certo, qualcuno afferma che il citato "Manifesto della Cultura", pur nel merito della iniziativa, è viziato dal legittimo obiettivo del rilancio dell'economia. Forse è vero, così come è scontato che è la necessità umana e individuale a fare ricorso alla cultura, che rende noi italiani cittadini del mondo. E' un ricorso che ci rende grandi e richiesti ovunque, malgrado tutte le congiunture. E' una strepitosa immagine positiva quella che siamo in grado di diffondere all'estero in tema di cultura. E' la cultura che crea il brand italiano che va fortissimo. Ed è necessario sfruttarlo al massimo, sia a livello individuale, sia istituzionale. Comunque, a fronte di una ricchezza culturale inaudita, l'Italia, rispetto alla Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna è il Paese con la più bassa percentuale di aziende attive nella cultura e nell'industria creativa; solo il 4,4% del totale (7.176mila) con 335mila occupati (il 2,2%9) contro il 6% della Germania. Ed allora i decisori politici debbono tener presente il peso che la cultura ha nel progresso sociale e nel benessere equo e sostenibile, così come indicato già nel 2001 dall'Ocse. E in Umbria che cosa vediamo dietro la parola cultura? In un'indagine nazionale che ha coinvolto anche la nostra Regione, risulta che l'attenzione al patrimonio culturale è più importante addirittura del benessere economico. E' pleonastico asserire che l'Umbria è una delle regioni più ricche in opere artistiche, più godibile in paesaggi naturali, più nota in rievocazioni storiche e in manifestazioni musicali, più rinomata in cultura enogastronomica, più satura di spiritualità. L'essenziale è far conoscere queste eccellenze umbre all'Italia, al mondo intero. In qualsiasi modo, con qualsiasi pubblicità, con qualsiasi investimento pubblico e privato, con testimonial di ogni tipo, con valide promozioni turistiche. E valida, ad esempio la recente iniziativa del Travel Blogger Unite che ha convogliato per le strade e le bellezze del'Umbria oltre 100 giornalisti del web di tutto il mondo, alla scoperta della Regione, per poi comunicare le proprie impressioni attraverso il blog dedicato ai percorsi e alle escursioni. Immergersi insomma nelle variegate espressioni della cultura umbra equivale ad accrescerne le potenzialità turistiche e commerciali. La ricaduta economica ne è il logico corollario. Ed allora l'idea di Vittorio Sgarbi di far coincidere economia e cultura in un solo ministero o in unico assessorato non è poi così peregrina. Inevitabilmente esso dovrebbe interfacciarsi con la scuola, l'università, il turismo e i lavori pubblici. Sicuramente, il ministro di cui sopra non pensava, nella sua esternazione, ai numerosi risvolti "salvifici" che la Cultura può avere nella società moderna.