Ulassai, Maria Lai e i miei amici "legati alla montagna"

20.08.20 , Arte , Samantha Chia

 

Stazione dell'arte

Nell'agosto di quest'anno ho fatto un viaggio in Sardegna con alcuni dei miei amici storici. Nell'itinerario era prevista la tappa nel piccolo paese ogliastrino di Ulassai (NU), dove forse non mi sarebbe mai capitato di andare, se non avesse rappresentato lo strano connubio e compromesso tra le nostre passioni: l'arrampicata e l'arte contemporanea.

Ulassai è un borgo situato a quasi ottocento metri d'altezza tra le montagne, note come tacchi d'Ogliastra, monti calcareo-dolomitici il cui nome si deve alla loro conformazione, simile a quella di un tacco di scarpa. Tra foreste sempreverdi, grotte e profonde gole, il centro attira escursionisti e climbers da tutta Europa. Tra di loro ci sono anche i miei amici: Andrea, Davide, Pietro, Irene e Silvia. Poi ci sono io, che non sono un'arrampicatrice, ma Ulassai aveva qualcosa in serbo anche per me.

I tacchi d'Ogliastra hanno stimolato gli sportivi e ispirato gli artisti, una di loro è l'ulassese Maria Lai (1919-2013), la cui opera è fortemente radicata nelle tradizioni e nei miti sardi, ma tesa all'umano e all'universale. La Stazione dell'arte di Ulassai (centro d'arte contemporanea a lei dedicato) detiene la più grande collezione pubblica dell'artista, il nuovo allestimento dal titolo Maria Lai. Fame d'infinito, curato da Davide Mariani, è stato inaugurato il 26 giugno, primo evento ufficiale dopo la riapertura successiva al lockdown. Ma l'opera dell'artista si può trovare dappertutto ad Ulassai, perché Maria ha reso il suo paese natale un vero e proprio museo a cielo aperto con tredici installazioni, sia indoor che outdoor, disseminate per il centro e dintorni (alle 13 opere si aggiungono le due recenti opere Cuore Mio di Marcello Maloberti e Alla luce di Guido Strazza).

Mentre i miei amici arrampicavano nel Canyon, ai cui piedi si trovano le opere Lavatoio e Via Crucis (rispettivamente nei pressi e all'interno della chiesa di Sant'Antioco), io e Irene esploravamo il luogo seguendo il filo di Maria. Le opere ci hanno portate dalla Stazione dell'arte alle vie nel cuore del paese, da Piazza Barigau fino alla strada per la grotta di Su Marmuri, per spingerci fino alla vicina Osini. L'itinerario ci ha poi condotte al sito del famoso intervento del 1981 Legarsi alla montagna, considerata la prima opera di arte relazionale. L'operazione consistette nel legare insieme, per mezzo di 27 km di nastro azzurro, gli abitanti, le case, le porte, le vie, il paesaggio. Un'opera sociale, partecipativa, tanto poetica quanto effimera.

Del nastro oggi non c'è più traccia, restano le documentazioni video e fotografiche. Mentre ero lì, ad osservare quello scenario privo di alcun segno, non potevo che pensare ai miei amici e alle altre persone arrivate da ogni dove, che proprio in quel momento si stavano legando fisicamente (e metaforicamente) alla montagna, ergendosi sul lascito di Maria e sui suoi compaesani. Seppur il loro legarsi aveva ben altri intenti, mi ha fatto pensare che l'opera di Maria forse non è poi così effimera, ma un continuo work in progress in perenne mutamento, teso all'infinito, a cui tutti continuiamo a partecipare. Se l'arte relazionale pone al centro i legami tra gli uomini, deve anche tener conto della trasformazione di tali legami, che cambiano noi e il modo di fare e sentire l'arte.

Oggi non sono più solo gli ulassesi a legarsi alla loro montagna, ma ospitano tutti coloro che vi si sentono legati e che vi si legano, letteralmente.

 

 

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