sezione arte riflesso magazine

Raffaello e il suo maestro Pietro Vannucci…al vertice

Sabato, 21 Marzo 2015,
Arte,
Il maestro è Pietro Vannucci, universalmente noto come “ Il Perugino”, anche se nato a Città della Pieve intorno al 1446. L’allievo invece è Raffaello Sanzio. Ma il vertice del titolo non si riferisce  al punto più alto della loro arte, perché il primo doveva ancora raggiungerlo ed il secondo se lo era lasciato da tempo alle spalle. Il vertice in questione, si riferisce ad un preciso luogo geografico: il punto più alto della città di Perugia dove sorge la chiesa di San Severo; il punto più alto ed anche il più esposto ai gelidi venti di tramontana come ricorda Dante nell’undicesimo canto nella Divina Commedia con due terzine che non c’è eugubino o gualdese o nocerino che non sappia citare a memoria: “Intra Tupino e l’acqua che discende/del colle eletto dal beato Ubaldo/fertile costa d’alto monte pende, onde Perugia sente freddo e caldo/da Porta Sole; e di rietro le piange/per grave giogo Nocera con Gualdo”. Le due terzine sono riportate sulla lapide esposta sul muro antistante la Chiesa, nella piccola piazzetta intitolata al pittore urbinate. Raffaello venne chiamato nel 1505 a lavorare in questa chiesa (la data è riportata nell’affresco) quando la sua popolarità era già grande e cominciavano per lui  a spalancarsi le porte dei grandi committenti romani (Giulio II sopra tutti gli altri). È probabilmente questa la ragione per cui il pittore eseguì solo la parte superiore dell’affresco raffigurante la Trinità e Santi. I committenti sperarono a lungo che il pittore concludesse l’opera ma queste speranze dovettero naufragare del tutto quando la prematura morte di Raffaello (nel 1520)  lo strappò per sempre ad una carriera artistica che tanti capolavori avrebbe potuto ancora elargire all’umanità. “Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori.” Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d'essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire. Così scrisse Pietro Bembo sull’epitaffio che si può  leggere sulla sua tomba al Pantheon. A quel punto i committenti furono costretti a cercare un altro pittore che completasse la decorazione della parete e la scelta cadde appunto sul vecchio Pietro Vannucci, ormai ultrasettantenne che sarebbe morto di lì a poco (1523). Il “Divin Pittore”, come lo aveva definito Giovanni Santi padre di Raffaello, completò la decorazione della parete dipingendo una serie di Santi a tutta figura: Scolastica, Girolamo, Giovanni Evangelista sulla sinistra, Gregorio Magno, Bonifacio e Marta a destra; allineati in primo piano, con lo sguardo essenziale e vago, tipico del suo stile. Non basta certo un parapetto scorciato in prospettiva ad aumentare il senso di spazialità. In un gelido pomeriggio invernale decido di andare a visitare questa Cappella con la consapevolezza di aver visto in passato opere migliori sia dell’uno che dell’altro. Mi attira non soltanto l’idea di vedere uno dei pochi dipinti di Raffaello in Umbria, se non l’unico;  quanto il vederlo accanto ad una delle ultime opere del suo maestro che in questa chiesa non si è certamente manifestato nelle sue “performances” migliori. Qualcuno ipotizza che il Perugino, allo scoccare del nuovo secolo, non seppe rinnovare il proprio stile. Io guardo con attenzione la parete e comincio a scattare delle foto. Ed all’improvviso mi convinco che il vecchio maestro al ricordo di quel suo promettente allievo non abbia voluto superarlo deliberatamente. Un omaggio a quel figliolo così presto rapito al Cielo, ma soprattutto l’affermazione tangibile di un idea che il sommo Leonardo aveva sintetizzato nell’aforisma: “Triste è quel discepolo che non avanza il suo maestro”.

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