Una casa al plurale

Dalla casa famiglia per disabili ai centri residenziali di prima accoglienza per minori

09.08.19 , Architettura , Collaboratore Riflesso

 

Una casa al plurale

Nuove emergenze legate alla contemporaneità stanno ampliando il tema della residenza unifamiliare verso una dimensione plurale. Si tratta di nuovi modelli abitativi, a metà tra residenza collettiva, dove più individui, estranei tra loro, condividono spazi comuni, e residenza unifamiliare, che racchiude nello spazio domestico la sfera privata ed intima di una famiglia.

Le case famiglia per disabili, piuttosto che i centri residenziali di accoglienza per minori sono modelli abitativi che prevedono la coabitazione di più soggetti, che tra loro non hanno una preventiva conoscenza, all'interno di spazi che hanno le caratteristiche di un appartamento.

Il D.M. 308/2001, che stabilisce i “requisiti minimi strutturali e autorizzativi per l'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale”, individua alcune categorie di utenza: a) minori (per interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi della famiglia); b) disabili per interventi socio-assistenziali o socio-sanitari finalizzati al mantenimento e al recupero dei livelli di autonomia; c) anziani; d) persone affette da AIDS; e) persone con problematiche psicosociali.

Dal punto di vista tipologico le strutture possono essere: a) a carattere comunitario; b) a prevalente accoglienza alberghiera; c) strutture protette; d) strutture a ciclo diurno.

Le Regioni hanno emanato leggi e decreti di attuazione nei propri ambiti territoriali, con piccole differenze rispetto al numero di utenti, minori, disabili adulti o anziani.

La cosiddetta “casa famiglia” che si va a costituire, prevede la presenza di specifiche figure professionali, sociali e sanitarie, all'interno dell'alloggio. Nella Regione Lazio con la D.G.R 1305/2004, per avere qualche riferimento, si prevedono case famiglia con un massimo di 6 utenti nel caso di minori, ovvero massimo 8 disabili adulti e fino a 10 minori per le comunità educative di prima accoglienza.

Si tratta di situazioni molto diverse e di profili di utenza diversi. L'accoglienza dei minori riguarda ragazzi che non hanno nel nostro paese un nucleo familiare di riferimento, vengono talora trovati in strada e ricondotti a presidi territoriali per un periodo transitorio. Il processo di ingresso in strutture di primissima accoglienza è veloce ed è deputato alla soluzione dell'emergenza. Dalla presa in carico, alla sala colloqui con assistenti sociali e con il personale sanitario, fino all'alloggio in camerate di passaggio e quindi all'assegnazione di un posto nella struttura, passano mediamente 4-5 giorni. Il periodo di permanenza del minore nei centri di primissima accoglienza può durare pochi mesi, prima di trovare sistemazione in comunità educative, dove possono avere maggiore stabilità. La casa famiglia per disabili ha molte possibili declinazioni, che variano a seconda del livello di autonomia degli utenti. Le residenze per il “dopo di noi”, destinate ad accogliere disabili gravi dopo la morte dei genitori, mirano a fornire una risposta in termini di assistenza a persone, generalmente adulte. Il progetto di coabitazione può essere sviluppato su archi temporali piuttosto lunghi ed il turn over può riguardare più gli operatori che gli utenti. La casa famiglia prevede, secondo normativa, un'articolazione di spazi con camere da letto doppie da 14 mq e singole da 9 mq, 2 bagni, uno spazio per gli operatori e uno spazio soggiorno-pranzo considerato come spazio comune.

In caso di disabilità meno importanti, che consentono di avviare progetti di “vita indipendente” per soggetti che possono staccarsi progressivamente dal nucleo familiare, si possono avere configurazioni con gruppi di mini-appartamento, che hanno spazi di privacy molto più ampi della stanza singola, con un operatore che può occuparsi di più persone.

Nel caso degli anziani, invece, il modello più utilizzato è quello della comunità alloggio con più di 20 utenti, o quello ben collaudato della casa di riposo, con una maggiore dotazione di spazi collettivi e servizi e più vicino al “tipo” dell'albergo, che a quello della casa.

Rispetto a nuove emergenze di abitare “al plurale”, il progetto di architettura si trova ad affrontare temi complessi, dovendo interpretare schematismi normativi regionali piuttosto omologati, che non rendono giustizia di un quadro molto articolato e di istanze diverse. La soluzione diviene come sempre ad appannaggio del progettista, che deve muoversi al limite tra applicazione pedissequa della norma, al fine del conseguimento delle autorizzazioni e adattamento creativo di un patrimonio edilizio esistente e parzialmente già configurato.

La casa, anche nella sua dimensione plurale, temporanea ed emergenziale, resta comunque il luogo nel quale ciascuno, qualunque siano le sue istanze abitative, vorrà coltivare, almeno per un pò, il suo progetto di vita.

Matteo Clemente

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