Contaminazioni nella moda del Movimento Radicale

26.11.18 , Moda , Collaboratore Riflesso

 

Contaminazioni nella moda del Movimento Radicale

Chi lavorava sul progetto in quegli anni ha cercato di farlo uscire dalla noia mortale del progetto esecutivo per farlo tornare a essere un linguaggio di comunicazione, colto, in divenire: Ettore Sottsass ha insegnato con il suo lavoro tutto a tutti”.

A parlare è Gianni Pettena (storico, teorico e autore del Movimento Radicale), gli anni sono quelli a cavallo tra la seconda metà degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, l’area geografica è, in prima battuta, quella limitrofa alla Facoltà d’Architettura dell’Università di Firenze, per poi irradiarsi, a mo’ di virus, in altri centri della penisola tra cui, non ultimo, Milano.

Il superamento degli specifici disciplinari è stato uno degli obiettivi perseguiti e sdoganati dai seguaci del Movimento Radicale: molti di loro, pur partendo dal linguaggio dell’architettura e del progetto, si sono cimentati con le più svariate forme espressive.

Archizoom Associati collaborano dal ’70 al ‘73 con la ditta Brevetti Berné, specializzata in prodotti ortopedici, per realizzare dei costumi. I prodotti sgambati e unisex che sono il frutto della collaborazione non sono tanto costumi tradizionali da indossare sulle spiagge, ma “abiti” per vivere la città artificiale e infinita che gli Archizoom stavano via via definendo col progetto della Non-stop city (Domus n. 496, marzo1971). Una certa ambivalenza e il conseguente superamento di identità definite, femminile e maschile, ben riscontrabili in quei progetti, immortalati anche in alcuni preziosi scatti d’epoca, sono certamente divenuti un tratto distintivo della postmodernità nel campo della moda. Basti pensare alla dimensione androgina che ne ha fortemente caratterizzato l’immagine a cavallo tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI, con stilisti che si sono sbizzarriti su corpi che assommavano le caratteristiche unisex: ragazze “mannish” ed efebici ragazzi decisamente “girlish”. Stesso discorso per le Calze pelose, sempre Archizoom, indossate dalle donne e volute da Elio Fiorucci, insieme ai costumi, per il suo celebre store di Milano e le Sfilate Moda Mare Capri.

Verso la fine del ’72 gli Archizoom, e in particolare Lucia Bartolini, sulla scorta di un loro scritto precedente, Proposta per un programma di progettazione di un sistema razionale di abbigliamento, 1970, lavorano a un progetto che consegna all'utente gli strumenti per costruirsi l'abito. Il progetto si concretizza in una scatola di montaggio (do it yourself) contenente il necessario e il suggerimento di un metodo basato sulle possibilità combinatorie del quadrato di tessuto per confezionare abiti. È possibile riscontrare delle influenze in una certa concezione geometrica sartoriale, si pensi a Nanni Strada, a proposito della quale Beppe Finessi parla di “moda intesa come disciplina progettuale” e di “vestito che diventa architettura” (Abitare n. 415, marzo 2002).

Come ha avuto modo di specificare in seguito Dario Bartolini, se Vestirsi è facile '73 è un sistema rigoroso di progettazione dove la combinazione di un unico modulo quadrato genera nuove possibilità, Dressing Design '72, a partire dai prodotti per la Brevetti Berné, è invece un sistema di abbigliamento basato sull'associazione selvaggia degli indumenti.

In Aurora boreale gli anelli progettati con gli scarti della produzione del plexiglas, nel 1966, da Cristiano Toraldo di Francia (Superstudio), oggi in produzione Poltronova, sono stati l’elemento sommativo e combinatorio che ha anticipato alcune successive tendenze nella moda. I ben quindici pezzi sono in grado di essere intercambiati a seconda dei gusti, micro fenomeni ottici, “da indossare sulle dita di mani pallide, rosate, scure, gialle, lisce o rugose” (Cristiano Toraldo di Francia, 2016). Se con Vestirsi è facile si rendeva l’abito un’architettura, Ettore Sottsass ha mosso in direzione opposta realizzando un mobile, i Superbox (progettati nel ’65 ed editati in serie limitata dal Centro Studi Poltronova nel 2005), deducendoli dall’approccio al vestire delle giovani ragazze francesi. “È stato a Parigi, l’altro giorno al primo piano di Vog […] guardavo le ragazzine […] si stavano vestendo come si mettono insieme i pezzi di un meccanismo o di una carrozzeria” (Sottsass, Mobili, 1966).

Più concettuale la contaminazione nella moda di Gianni Pettena con un lavoro come la Poltrona Ombra (’86): elementi flessibili, inseriti tra fodera e tessuto di un cappotto dell’artista, consentono a chi lo indossa di potercisi sedere ma permettono anche una loro performatività autonoma. Pensato come abito che diviene luogo dell’abitare tout court e che, come normalmente accade, conserva una memoria, un riflesso, un’ombra di chi l’ha vissuto, anche in sua assenza. L’influenza lasciata in eredità al mondo della moda, e non solo, è quella dell’idea del cambio di pelle, l’uomo lascia il suo abito che ha vita propria e che evoca il corpo e il fantasma dell’esserci.

Elisabetta Trincherini

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