Carlo Pagnotta, il fondatore di Umbria Jazz, e la sua passione per la musica

Lunedì, 27 Agosto 2012,
 
Oggi l'Umbria è famosa nel mondo anche grazie alla sua storica kermesse musicale di jazz, le cui qualità e notorietà sono ormai ineluttabile e per merito del fondatore e direttore artistico della manifestazione Carlo Pagnotta. Direttore Pagnotta, come nasce la sua passione per il jazz? "Dal 1949 ho cominciato ad amare il jazz, comprando il primo disco. Allora già ascoltavo Frank Sinatra e altra musica americana. Dopo aver fatto l'Università a Bologna, tornai a Perugia nel 1955, entrai a far parte dall'Hot Club, fondato da Adriano Mazzoletti, e cominciammo a organizzare insieme concerti jazz". Ha mai suonato qualche strumento? "Ho provato a strimpellare per un po' il contrabbasso e il sassofono, ma poi mi sono reso conto che la musica è una cosa seria e che va studiata. Io neanche all'università studiavo, figuriamoci...". Come faceva a convincere i grandi nomi del Jazz, come Louis Armstrong, a partecipare ai concerti in Umbria? "L'arrivo a Perugia di Armostrong è stata opera di Mazzoletti. Io non sono neanche riuscito a trasmettere la passione per il jazz a mio figlio, figuriamoci se ero in grado di convincere i grandi artisti a venire a suonare a Perugia". Nel 1960 nacque il Jazz Club Perugia e nell'agosto del 1973 Umbria Jazz. Cosa ricorda di quel periodo? "Nel 1960 fondai il Jazz Club di Perugia, di cui ero presidente e dopo tredici anni nacque Umbria Jazz (UJ). Negli anni Settanta, il clima che si respirava era di demagogia e di ideologia. Io fui anche accusato di essere fascista perché promuovevo questo tipo di musica. In realtà, il jazz l'hanno chiamata la musica classica del ventesimo secolo, ma non è di sicuro musica di massa, anzi, rimane sempre di nicchia". Inizialmente UJ era itinerante per altre città umbre. Perché decise di focalizzare l'evento soltanto su Perugia? "All'inizio, oltre a Perugia veniva organizzato a Todi, Gubbio, Terni e Città della Pieve. Inizialmente, quando prese forma Umbria Jazz, erano previste quattro date, due a Perugia una a Terni e l'altra Gubbio. La prima tappa fu organizzata a Terni e per questo i ternani ancora sostengono che Uj è nata a Terni. Ma in realtà lì è stato fatto soltanto il primo concerto. E scegliemmo di iniziare da là per motivi prettamente pratici e di costi". Intorno agli anni Ottanta si cominciò a sconfinare nei terreni del rock, blues e pop. Da dove nasce questa volontà di allargare il panorama musicale? "Nel 1987 venne a Perugia Sting e così abbiamo esordito con la musica un po' più popolare. Fino ad allora Umbria Jazz era solo strictly jazz. Poi, per una sorta di evoluzione, decisi di portare qui anche un artista pop. E da lì, avendo avuto arene più grandi, giocoforza sono stato costretto a ingaggiare artisti pop e rock che attirassero un numero maggiore di persone". Come è cambiato Umbria Jazz nel corso degli anni? "Tra il 1978 e il 1982 la manifestazione fu sospesa. Poi, appena ricominciammo, cambiammo formula. Prima della chiusura tutti i concerti erano gratis, ma la gente non veniva per ascoltare il jazz, ma piuttosto per stare insieme. Dal 1982 inserimmo concerti a mezzogiorno, alcuni a pagamento e altri concerti non-stop: ma questo non facilitava il decentramento per cui siamo stati costretti a concentrare tutta la manifestazione a Perugia". Avrebbe mai immaginato che UJ poteva un giorno acquisire una tale fama internazionale? "Ho cominciato come appassionato di jazz, ma non mi sarei mai immaginato di diventare un addetto ai lavori di uno dei festival più famosi al mondo. Oggi Umbria jazz fa parte dell'International Jazz Festival Organization, che comprende i migliori festival nel mondo. Con gli altri membri ci incontriamo tre, quattro volte e insieme vediamo i prezzi degli artisti e parliamo di jazzisti emergenti". Ha avuto sempre contatti di carattere internazionali, specialmente con gli Stati Uniti? "A Boston abbiamo la collaborazione più antica che ha il Berklee College of Music, che dura ormai da ventisette anni. Dal 1982 facevo Roma-York anche otto volte l'anno. Ma poi sono le agenzie che prendono i contatti: e le più grandi si trovano a New York e a Londra". Lo sviluppo tecnologico ha cambiato la veste del Festival o sostanzialmente è rimasto invariato? "Siamo ancora deficitari nel sitoweb, ma lo stiamo implementando. Purtroppo, il difetto di Umbria Jazz è che, dato che si sorregge sul lavoro dei volontari, è difficile mantenere a lungo i bravi ragazzi. Del resto la voce degli stipendi non incide nemmeno dell'1% sul bilancio totale, che è di tre milioni di Euro". Organizzate anche degli eventi all'estero per far conoscere il Festival all'estero? "Oggi, girando e parlando dell'Umbria, la gente conosce questa Regione non solo grazie a San Francesco di Assisi, ma anche all'Umbria Jazz. Abbiamo provato a esportare la manifestazione a Melbourn. Negli Stati Uniti invece abbiamo fatto la settimana di Umbria Jazz a New York, Chicago e Boston". Secondo lei quali sono state le condizioni per cui UJ è riuscito avere tutto questo successo? "Sicuramente il supporto della Regione Umbria ci ha permesso di crescere e conquistarci un ruolo da grandeur. Il binomio Jazz e turismo con il tempo ha cominciato a prendere piede. Del resto, questa manifestazione musicale ha da sempre attratto turismo da ogni parte del mondo, andando a riempire camere di alberghi e ristoranti". Se dovesse fare una previsione, come si immagina Umbria Jazz tra dieci anni? "Speriamo che UJ sia qualitativamente meglio dell'edizione di quest'anno, il che vorrebbe dire che anche la situazione in Italia è migliorata".

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