Il ferro e la sua cialda

Giovedì, 04 Febbraio 2016,
Tante storie antropologiche e di vita vissuta segnano la  strada del ferro e della cialda, ché le due realtà si intersecano e si imprimono per sempre in una univoca identità. Storie importanti di luoghi diversi e diverse situazioni: le ricette gelosamente custodite, gli scambi con regioni confinanti, i racconti di isolati paesi di montagna dove si parlano ancora antichissimi idiomi che usavano le cialde, i “gofri”, come pane e anche come companatico, o ancora le cialde protagoniste di feste religiose, fidanzamenti e matrimoni. E i ferri da semplici e lisci a ricchissimi, istoriati, a raccontare di famiglie, blasoni e storie araldiche cinquecentesche di illustri cognomi, colori e formule beneauguranti. Il ferro da cialda nasce come ferro liturgico per preparare le ostie nei conventi e oltre a testimoniare la sua origine, questo storico utensile fornisce la più antica attestazione dell’uso eucaristico della particola al posto del pane. Il rito dello “spezzare il pane” era diventato difficoltoso: briciole benedette si potevano perdere, spargere ovunque, e semplici pani  potevano essere scambiati invece per pani santi, soprattutto da quando i cristiani erano diventati pellegrini di Cristo, difensori e diffusori di una fede che andava attestata con la  propria presenza sul posto. Così l’ostia, molto più facile da portare con se, comincerà ad essere distribuita anche all’esterno, sulla soglia delle chiese, e poiché non era consacrata, poteva diventare un vero e proprio sostentamento durante i lunghi cammini dei pellegrinaggi. Si chiamerà così oblata, dal participio passato del verbo latino offerre, cioè portata innanzi, fuori, donata, un nome che residuerà ad esempio nell’antico francese oublie o in alcuni dialetti, come il milanese che chiama le ostie o cialde obbià (F. Cherubini, Dizionario Milanese-Italiano). Le ostie e le oblate venivano preparate in dimensione diverse, più grandi o più piccole, e inizialmente con ferri lisci, poi sempre più finemente decorati con simboli liturgici che rimanevano impressi nelle particole. E contemporaneamente, grazie anche ai flussi e spostamenti di popolazioni per motivi migratori, il ferro e le oblate presero nomi diversi derivati da quel reticolo geometrico a nido d’ape delle piastre, ad attestare che inizialmente quest’ultime venivano consumate proprio con il miele: quello che era oublie diventerà gaufre, che in francese antico significa "nido d’ape", e in altre zone sarà waffle che in antico germanico aveva lo stesso significato a indicare il favo dell’alveare. Nel momento in cui la  sua preparazione non  fu più appannaggio esclusivo dei conventi, ma comincerà lentamente a diffondersi in ambienti laicali aristocratici, si passerà a considerane maggiormente la sua forma e il disegno, le qualità e caratteristiche e si iniziò a chiamarla cialda dal latino calidum attraverso il francese chaude: da servire calda,  e con la  forma e la decorazione esatta  di quel ferro che l’aveva creata. Un’emblema, un suggello di un nome e di una casata, come anche l’Araldica del periodo imponeva. A partire dal 1400 il ferro divenne un vero e proprio utensile necessario e prezioso  per la preparazione di cialde da servire in importanti ricorrenze come feste e  matrimoni ed entrerà addirittura nel “corredo” della sposa. Si creerà insomma la "cialda personalizzata" con incisi stemmi di famiglia, simboli, i nomi dei proprietari e talvolta quelli dell'incisore. Iniziò così la produzione di ferri di grande pregio artistico, spesso creati da orefici e zecchieri famosi come Rossetti Francesco di Valeriano, detto il Roscetto, del quale si conservano due manufatti esposti nella sala numero 20 della Galleria Nazionale dell’Umbria, da lui “firmati” nel manico, “Rossiectus aurifex me fecit in Perosia” o ancora quelli dei suoi allievi, conservati al Muvit, il Museo del vino di Torgiano, ché il vino era ed è importante ingrediente delle cialde. Ancora oggi, con ricette similari negli ingredienti storici di un tempo, ad attestare la fortuna di queste preparazioni, possiamo assaporare le cialde di Montecatini, le copate senesi, le ferratelle abruzzesi, i gofri dell’Allta Val Chisone e dell’Alta Val Susa o le cialde del paese di Marsciano, di storica carnevalesca tradizione, o quelle di Santa Lucia, con cui la città di Foligno ancora oggi festeggia la santa ricordando il convento che in origine le preparava per la città e quei “santesi” che quel giorno preparano e vendono questa dolce, delicata e beneaugurante prelibatezza ai folignati in festa che amano farsene scambievole regalo. 

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