L'antica tradizione della "Corsa dei Ceri"

Mercoledì, 15 Maggio 2013,
 
Qualsiasi lettore conosca un eugubino, sa bene che c'è un periodo dell'anno in cui è assolutamente impossibile comunicare con tale persona poiché invasata da un ardore interno che gli trasmette un luccichio speciale negli occhi: quello che in ogni abitante di Gubbio accende la parola "cero". Il mese di maggio è il mese della "Corsa dei Ceri", tradizione folkloristica talmente antica da avere sia un'origine pagana (in onore di Cerere, la dea delle messi e del ritorno della stagione primaverile) sia una tipicamente religiosa (che si rifà ad Ubaldo, vescovo della città all'inizio del II secolo d.C.). I ceri sono strutture lignee costituite da prismi ottagonali, barelle orizzontali che permettono ai cosiddetti "ceraioli" il trasporto a spalla, e le statue dei tre santi della città collocati in cima: San Giorgio, Sant'Ubaldo e Sant'Antonio, senza soffrire di vertigini, permettono ai ceri di raggiungere un'altezza di circa di 5 metri ed un peso di quasi 300 chili. In virtù di tale mole, è ben comprensibile perché un eugubino nel corso della propria vita aspiri a portare il cero: come motivo d'orgoglio. I ceri vengono conservati con cura e devozione all'interno della basilica di Sant'Ubaldo, in cima al Monte Ingino, dalla quale vengono fatti discendere in città la prima domenica di Maggio; ma la vera e propria festa è soltanto nel giorno 15 del mese, una giornata scandita dai rintocchi del campanone (questo è un forte segnale dell'antica tradizione) che porta i ceraioli a festeggiare dalle prime luci dell'alba fino a sera inoltrata. La classica domanda che viene posta ad un eugubino, "di che cero sei?", ha immediata risposta negli antichi mestieri delle ancestrali tradizioni familiari o nelle più attuali zona abitative che circondano Gubbio: ogni appartenente ad una delle tre casate ha una divisa contrassegnata da un colore differente, che trasforma la festa del 15 Maggio in un tripudio di colori. State dunque ben attenti a non venir travolti dalla calca e dalla ressa che circonda la corsa, perché l'aspirazione ad essere il primo cero a tornare nella Basilica in cima al Monte Ingino è il fine ultimo di ciascun ceraiolo che si rispetti. E, nonostante l'esito della corsa sia alquanto scontato, l'entusiasmo e la predisposizione d'animo che tiene viva la festa permette ad una tradizione così antica di rimanere una delle principali attrazioni umbre anche ai nostri giorni. Benedetta Coli

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