Milano, si sa, è sempre stata in anticipo su mode, tendenze e fenomeni rispetto al resto d’Italia. Tranne in un caso: quello del Carnevale Ambrosiano. In base all’omonimo rito, il capoluogo lombardo celebra il carnevale il sabato dopo le Ceneri, quando nel resto d’Italia, dove vige il rito romano, è già Quaresima da tre giorni. Secondo la leggenda, Sant’Ambrogio, essendo di ritorno da un pellegrinaggio in terribile ritardo, invitò i concittadini ad attenderlo per dare il via alle celebrazioni della Quaresima. Secondo altre fonti, il patrono della città partì per un pellegrinaggio dicendo che sarebbe stato di ritorno a Milano per il Carnevale, in modo da dare inizio alla Quaresima, ma fu la città a decidere di aspettarlo, prolungando il Carnevale e posticipando l’inizio della celebrazione. Un’altra storia ancora, un po’ diversa, vuole invece che in un anno (tutt’oggi non identificato) la fine della Quaresima fosse andata a coincidere con la fine di una pestilenza che aveva impedito le feste e costretto la popolazione alla fame e che la dispensa, l’habeatis grassum, che prolungava di quattro giorni i festeggiamenti, sia stata chiesta al Papa proprio dal vescovo Ambrogio per rinfrancare i milanesi prima del lungo periodo di penitenza. In realtà l’inghippo starebbe in un diverso calcolo della durata della Quaresima. In tutta Italia, dove si segue il rito romano, inizia il mercoledì delle Ceneri e dura 40 giorni, escludendo le domeniche dal conteggio. Nella diocesi milanese che, invece, segue il rito ambrosiano, il periodo di penitenza inizia la domenica successiva al mercoledì delle Ceneri e le domeniche sono comprese nei 40 giorni. Come ogni tradizione carnascialesca che si rispetti, anche quella milanese ha una sua maschera, quella del Meneghino. Il suo nome deriva da “Domenichino”, il servo della domenica, quello che accompagnava nobili non troppo abbienti nelle loro passeggiate per Milano. La maschera del Domenichino venne introdotta come figura del teatro seicentesco da Carlo Maria Maggi, con l’iconografia tipica connotata dalla lunga giacca color marrone, pantaloni corti, calze a righe rosse e bianche, un cappello a tre punte che nasconde una parrucca settecentesca con tanto di codino alla francese. È, però, il poeta Carlo Porta ad accrescerne la popolarità, tanto che, alla fine, il Meneghino è diventato il simbolo dell’animo patriottico milanese, contro la dominazione asburgica, in seguito alle Cinque Giornate di Milano del 1848. E non potevano mancare le ricette tipiche del Carnevale ambrosiano, a partire dalle strisce croccanti, le “chiacchiere”, che a Milano non vengono fritte come nel resto d’Italia, ma cotte al forno. Sulle tavole milanesi, poi, a febbraio è impossibile non trovare i “farsòe”, i tortelli di Carnevale, in dialetto tortei de Carnevaa. Si tratta delle palline fritte, cave all’interno, che possono essere farcite con crema chantilly, pasticcera o al cioccolato. Una variante da provare sono i “làciàditt”, tortelli fritti ripieni di cubetti di mela.