L’eredità dell’Expo Milano 2015

Giovedì, 03 Dicembre 2015,
L’Expo di Milano chiude i battenti. Tempo di bilanci. Il mondo intero in centodieci ettari, venti milioni di visitatori, centoquarantacinque Paesi presenti in rappresentanza del novantaquattro per cento della popolazione mondiale, ognuno con le sue specificità culturali in un caleidoscopio di tradizioni nazionali proiettate verso il futuro. Cinquantatrè padiglioni nazionali self-built, record assoluto, superiore a quello di Shangai del 2010 (quarantadue padiglioni), nove cluster tematici. Cifre importanti, superiori alle previsioni. L’Expo lascia un’eredità immateriale e una materiale. La prima declina in un documento di alta valenza morale, la Carta di Milano, il tema del maxi-evento: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, un richiamo forte a una maggiore equità nella distribuzione delle risorse alimentari del nostro pianeta. I lasciti immateriali legati all’Expo, ai quali hanno contribuito in egual misura i vari partecipanti, sono diversi: il know-how derivato dal semestre di lavori, incontri e seminari volti a proporre nuove prospettive e ridurre gli sprechi; la presenza di elementi educativi in ogni mostra, evento, performance organizzati allo scopo di indirizzare la collettività verso scelte responsabili da adottare nella produzione e nel consumo di cibo; l’insieme di ricerche mirate a interrogare la comunità sulla sostenibilità dei modelli economici, sociali e produttivi adottati; la diffusione delle conoscenze e della formazione sui temi della sostenibilità ambientale. Per quanto riguarda l’eredità materiale, quella legata alla struttura fisica dell’Expo, vale a dire l’area espositiva, i padiglioni, le persone che vi hanno lavorato giorno e notte, è ancora tutto da decidere. Si teme che i tempi morti che inevitabilmente faranno seguito alla chiusura dell’Esposizione Universale possano favorire l’inizio del degrado dell’area interessata. Al fine di accelerare l’individuazione di un’idonea sistemazione il direttore del quotidiano “Il Giorno”, Giancarlo Mazzuca, ha proposto la creazione di un pensatoio che metta insieme le mille anime di Milano, istituzioni, imprese, Università. L’ipotesi più accreditata vede l’area di Expo diventare una cittadella universitaria e un polo hi-tech. Un grande spazio dove alle facoltà scientifiche della Statale di Milano, l’ateneo che per primo ha lanciato l’idea, si unisca anche un gruppo di aziende a vocazione scientifica e tecnologica, con laboratori e competenze che eventualmente si mettano in scia con i temi di Expo. Attualmente, comunque, mancano i progetti concreti e i soldi per realizzarli (si parla di settecento milioni, almeno). Ancora una volta sarebbe il governo a essere chiamato in causa per la regia dell’intera operazione. Sicuramente, comunque, il quaranta per cento dell’area rimarrà un parco verde. Parliamo, infine, dell’Albero della Vita, il simbolo di ispirazione rinascimentale, diventato ormai celebre, dell’Esposizione Universale milanese. Sul destino di quest’opera in legno e acciaio, alta quanto un edificio di dodici piani, costato otto milioni e trecento mila Euro, si riscontra molta incertezza. Il commissario unico dell’Esposizione, Giuseppe Sala, ha dichiarato che la gestione del sofisticatissimo software è estremamente delicata e costosa e pertanto la sua collocazione ha un senso solo se situata in un parco dove l’opera possa essere visitata da decine di migliaia di persone. Il solo smontaggio costerà 500.000 Euro e analogo sarà il costo del rimontaggio. Se ne esclude, pertanto, il suo posizionamento all’interno della città. Fra le possibili sedi alternative si parla in via del tutto ipotetica di Brescia o Desenzano.

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