Alla Luiss Guido Carli di Roma, Università della Confindustria, si è svolto recentemente un convegno su un tema di crescente interesse economico: il rapporto tra profitto, sostenibilità e diritti umani. Ciò a significare che non c’è profitto senza sostenibilità, non c‘è crescita se non si rispettano i diritti umani. Il convegno è stato promosso dal Comitato Italiano della Camera di Commercio Internazionale (alla quale aderiscono organizzazioni imprenditoriali, Camere di Commercio e aziende di oltre 130 Paesi) e dal Centro Ricerche della Luiss. Erano presenti relatori e accademici di livello internazionale, rappresentanti di alcune note imprese mondiali (Microsoft, Coca Cola, Gucci, Enel, Eni), esperti di organizzazioni non governative (Fao, Oxfam, Fondazione Avsi, Ituc-Associazione Internazionale dei Sindacati). L’iniziativa della LUISS fa pendant con un analogo meeting svoltosi al Teatro Cucinelli di Solomeo, ove è stato presentato il libro “Ripensare il Capitalismo” di Philip Kotler. Due eventi per sottolineare un solo aspetto, vale a dire il nuovo ruolo dell’impresa in un mondo che auspica un buon uso della ricchezza, una virtù che per molti è più difficile possedere rispetto alla capacità di diventare ricchi. Anche se l’impresa è ancora oggetto di una cultura anti-industriale che mira a demonizzare il profitto che si vuole contrapposto alla solidarietà, quale fosse un valore ad essa antitetico. L’idea che tende a ridimensionare tale sillogismo sta facendosi strada anche in Italia, pur con evidente difficoltà. Basti pensare che negli Stati Uniti già alla fine del XIX secolo profitto e solidarietà già andavano a braccetto. Due esempi per tutti: Andrew Carnegie e John D. Rockefeller, due grandi imprenditori americani che hanno aperto la strada ai giganti della filantropia moderna, hanno visto il conto delle loro donazioni riportato sui maggiori giornali per molti anni a partire dal 1903. Anno in cui il London Times affermava che Carnegie aveva donato 21 milioni di dollari e Rockfeller 10 milioni. Nel 1913 il New York Herald riportava in 332 milioni di dollari il contributo di Carnegie e in 175 milioni quello di Rockfeller. Tutto accadeva quando ancora non c’erano incentivi fiscali alle donazioni. Con l’avvento di nuove detrazioni fiscali le donazioni crebbero a dismisura con sostegno principale all’istruzione: università, enti di ricerca, scuole, biblioteche, borse di studio. Anche in Italia dopo oltre un secolo è stata approvata una legge a favore delle donazioni e stanno iniziando iniziative filantropiche. Suddivisibili in tre settori: solidarietà, mecenatismo, dignità. Con la solidarietà si condivide con chi ha meno, con il mecenatismo si attivano iniziative culturali e recupero di opere d’arte, con la dignità – soprattutto dei lavoratori – si attua il maggiore dei messaggi evangelici: ama il prossimo come te stesso. La triade filantropica permette a qualsiasi impresa, comprese quelle che si occupano di moda e di lusso, di entrare a pieno titolo nelle multiformi vitalità della società, non tanto e non solo perché qualcuno “vuole restituire qualcosa”, ma essenzialmente perché desiderano contribuire alla crescita culturale della nazione. In sintonia con l’insegnamento di Michael Novak, uno dei maggiori teologi ed economisti americani: “La filantropia è il latte materno della società civile. Senza bisogno di rivolgersi allo Stato, qui le persone si volgono l’una verso l’altra e realizzano obiettivi di pubblico interesse”.