Le recenti immagini di catastrofi dovute ad inediti fenomeni climatici questa volta non riguardano territori dove prevale l’abusivismo, ma contesti dove tutto è regolamentato. È allora evidente che le regole che hanno generato questi habitat non sono adeguate, sono inadatte al futuro: richiedono di essere ripensate. La frequenza di fenomeni estremi accelera, ne si ignorano gli esiti, ma si sa della riduzione delle biodiversità e dell’estinzione di molte forme di vita. Certo una parte importante di queste azioni ha scala planetaria, ma anche le resistenze sono planetarie. Il processo internazionale va avanti, ma troppo lentamente nelle Conferenze delle Parti. COP-21 - l’Accordo di Parigi - sembrava una svolta. Il G20 di Napoli è stato certo un passo avanti, ma due punti importanti ancora dividono. COP-26 si terrà a Glasgow a novembre.
Benché abbiano scala diversa, anche altre questioni non meno importanti - quelle che riguardano le continue trasformazioni degli ambienti di vita - vanno affrontate prescindendo da confini, idiomi o limiti amministrativi. Un fiume non sa di percorrere territori diversi, non lo sa il vento, non lo sanno gli uccelli né i virus. Per rigenerare e costruire sono urgenti nuovi criteri e principi condivisi.
L’obiettivo della conversione ecologica ridisegna le priorità: un rapporto distruttivo con la natura minaccia alla base tutte le forme di vita e spinge quindi innanzitutto a porre fine all’era dell’ignoranza ingiustificata; impone forme di conoscenza integrata decisamente più evolute e apparati normativi agili, mai settoriali.
Le ottiche di settore sono prime responsabili dei drammi attuali. Per liberarsene, le norme andrebbero sovvertite rispetto all’attuale modello dominante di previsione e controllo per introdurre sistemi regolativi prestazionali condivisi, dei quali si comprende la ratio e la si considera esigenza comune per una società che vuole affrontare la questione ecologica in termini efficaci e complessi.
Educare all’ecologia, nel senso di sistema interconnesso “ambiente e civiltà umana”, alla qualità degli ambienti di vita è obiettivo necessario: sin dalla scuola primaria occorre evidenziare l’intima connessione fra qualità dell’aria, decarbonizzazione delle città, nuovi requisiti dell’abitare, socialità, benessere, economia.
Architettura è politica: rigenerare gli attuali ambienti della vita impone visione visionaria, nuove mentalità, impegno per la cura della casa comune, abbandono degli egoismi, mitigazione delle diseguaglianze. Abbandonare quanto sembrava normalità implica rinunce e costi. Lo potranno fare comunità convinte delle conseguenze sulla vita di tutti giorni prodotte da costruito e non-costruito di elevata qualità ecologica e ambientale. Quest’ottica è anche premessa di equità sociale ed è - pur se limitato - un buon contributo all’immensa questione ambientale.