La magia della Light Art

21.11.18 , Design , Carlo Timio

 

La magia della Light Art

Nata intorno alla metà del XX secolo la light art è una nuova forma di arte visiva che fa perno sull’espressività della luce, manifestata attraverso installazioni minimaliste di artisti che giocano con lo spazio circostante per creare dei giochi chiaroscurali frutto di un’ideazione e una progettazione creativa dettata dalle dimensioni spazio-temporali messe a disposizione. Chi si è occupato molto di questo settore in Italia è Gisella Gellini, architetto e docente del corso light art e design della Luce alla Scuola del Design del Politecnico di Milano, e curatrice di numerose mostre a livello nazionale e internazionale.

Gisella Gellini, come è nata la passione per l’arte e in particolar modo come si è avvicinata al mondo della light art?

“La passione per l’arte è nata sin da quando ho scelto la facoltà di architettura, ma in particolare la passione per la luce è avvenuta circa venti anni fa, quando visitai la Collezione di arte ambientale di Villa Panza del conte Giuseppe Panza di Biumo, realizzando quanto fosse ben curato il rapporto tra luce e lo spazio. Ho così deciso di seguire uno stimolo di un collega, oltre che di Giuseppe Panza, con cui poi ho cominciato a collaborare, dedicandomi a questo ramo dell’arte che non era così conosciuto, come del resto lo è poco ancora oggi”.

Quale elemento magico riesce ad intravedere nella luce? E cosa le ispira?

“La luce è magia, basta che uno segue la giornata per rendersi conto che il passaggio dal giorno alla notte è già di per sé magico. L’architettura e la luce hanno un rapporto strettissimo e i grandi architetti hanno fatto negli ultimi anni studi particolari in questo ambito, ma spesso nella fase della progettazione non viene considerata in maniera corretta l’importanza della luce e dell’atmosfera che si crea all’interno di una casa, perché, mancando una vera cultura della luce, non viene data rilevanza alle singole stanze e alla loro funzione sia durante la notte che di giorno. Invece è estremamente rilevante capire come sfruttare al meglio il rapporto tra luce naturale e gli spazi”.

Come si configura il percorso che va dall’ideazione alla realizzazione di un’opera di light art?

“Il percorso con cui si struttura la realizzazione di un’opera di light art parte dalla ricerca dello spazio su cui effettuare i lavori, cui fa seguito la scelta della tematica da affrontare. Poi si seleziona uno o più artisti cui si assegna il progetto da implementare. Si comincia quindi da un sopralluogo nell’ambiente individuato, e si avvia un discorso con un direttore artistico cui fa seguito l’intervento degli artisti, che presentano una prima idea di quello che loro vorrebbero realizzare nello spazio messo a disposizione. Una decina di anni fa ho anche deciso di cominciare a fare delle pubblicazioni su tale argomento e ogni anno cerco di riportare il lavoro di una cinquantina di artisti che hanno utilizzato installazioni temporanee, per lasciare una documentazione di ciò che altrimenti andrebbe perduto e ora sto uscendo con la IX pubblicazione della Light Art in Italy, Temporary installation 2016-2017. Come curatrice di mostre, invece, normalmente mi occupo di capire come nasce un’opera di light art in funzione dello spazio che mi viene messo a disposizione. Tre la varie esposizioni che ho curato, tra cui

tra cui la mostra collettiva Luces-Light Art from Italy e la Light Art Ensemble a Milano, mi preme menzionar il progetto Lightquake con la mostra itinerante Black Light Art: la luce che colora il buio, di cui ho curato la direzione artistica insieme a Fabio Agrifoglio. La mostra si articola in tre tappe (Palazzo Lombardia a Milano, Pinacoteca Civica di Como e Rocca Albornoziana di Spoleto nell’ambito di Lightquake, un evento nato per la raccolta fondi a favore di opere d’arte danneggiate dal terremoto in Umbria). La mostra intende esplorare le valenze artistiche della luce nera, proponendo opere di artisti che da sempre la sperimentano o che la approcciano per la prima volta. L’evento nasce con un gioco di luci colori ed effetti sensazionali che stupiscono lo spettatore”.

C’è ancora molta strada da fare per quanto riguarda la luce, intesa sia come illuminazione pubblica che come strumento artistico per una riqualificazione urbana?

“Credo che ci sia ancora tanto da fare, basta guardare le nostre città dove ogni piazza e ogni posto è inondato di luce, mentre nelle periferie, in alcuni casi le illuminazioni non sono neanche sufficienti. Ciò che manca è un piano preciso di illuminazione per una copertura unificata a livello nazionale. Speriamo che ora, con la riqualificazione delle periferie, si arrivi a riconsiderare anche la componente dell’illuminazione, riconoscendo la sua centralità e importanza. Anche le opere pubbliche devono essere illuminate meglio. Le luci vanno studiate con colori adatti alle peculiarità della città, tenendo conto degli stili e dell’architettura, per far sì che chi passa possa leggere gli interventi di architettura del tempo. Tra i vari progetti che mi piacerebbe realizzare, un’operazione interessante sarebbe quella di unire alcuni comuni del cratere del terremoto, per creare dei punti di riferimento su queste quattro regioni colpite dal sisma, dove a un certo punto e durante un certo giorno dell’anno, magari il giorno della ricorrenza della scossa, si accendano le piazze, o una scuola, o una biblioteca, dando un segnale di luce che poi rimarrà nel tempo. La luce diventa un segnale di unione, di comunione, di storia e di speranza”.

Quali sono i suoi progetti futuri? Tempo fa in un’intervista affermò che il suo sogno nel cassetto sarebbe quello di realizzare il Museo della Luce in Italia, si sta avvicinando quella data?

“No, quella data si è interrotta con la morte di Giuseppe Panza di Biumo il cui sogno è sempre stato quella di fare un museo della luce. Oggi non vedo grandi mecenati interessati a questo particolare settore Vedo industrie che hanno musei dei loro prodotti, che però non hanno niente a che vedere con il museo della luce, e per farlo ci vuole un contenitore adatto, un comitato tecnico scientifico adatto e poi dei finanziamenti. Dovrebbe essere costituito da un settore dedicato alla storia della luce e un altro con un laboratorio della luce. Ci sono associazioni che si occupano di illuminazione, ma rimaniamo sempre molto nel tecnico. Bisognerebbe unire persone con caratteristiche professionali diverse per creare progetti di più ampio respiro”.

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