Più luce! In questa danza fra reale e irreale, fra ciò che si tocca e ciò che no, mi chiedevo (e mi chiedo) cosa c’è di più potente della luce e di meno consistente di lei.
Come se potenza e inconsistenza fossero – a volte – reciprocamente presenti e determinanti. Un rapido bagliore, un luccichio, quella luce che sempre accompagna un’idea al suo sorgere. Il concetto di luce e quello di idea – o il suo tentativo di definirla – spesso si accompagnano. Vuoi nel linguaggio, vuoi nella dimensione del pensiero. Intangibile e inconsistente l’idea, così come la luce, è priva di materia, di tangibilità, ma ha peso. Manca di quegli aspetti sensoriali che si associano a una forma, eppure è capace di trasformare, a volte in profondità, noi stessi, i campi del nostro sapere così come quelli del nostro fare. Il design (il progetto, per dirla nella nostra lingua madre) è proprio ciò che si colloca in quello snodo che, per legge di catastrofe, fa andare l’idea all’ingiù (verso il mondo delle cose e dei fenomeni), piuttosto che all’insù verso la dimensione dei noumeni. Quindi il design forse non solo è punto di incontro fra tangibile e intangibile, ma anche (forse soprattutto) punto di diffusione. Di fusione. Di manifestazione possibile di idee colme di luce. Più luce! Allora e Più idea! Questa la speranza, o l’invito o, chissà. Più luce è necessaria alla comprensione. Ma anche all’apparizione: di un inedito nel senso e compiuto in un tempo. Un abbaglio che non costringa a chiudere le palpebre. L’apparizione d’altronde, anche nella parola, è magica e mistica, proprio perché indipendente, per il suo essere improvvisa ,dalla dimensione del tempo e dello spazio. È un irrompere nel reale: un intangibile che si fa tangibile nell’atto dell’irruzione, quasi fosse uno squarcio, uno strappo nel tessuto ordinato del tempo. L’idea, come la luce, potremmo dire, arriva da un altrove (e a volte tanto tempo è necessario per la sua manifestazione). Non è tangibile e lo diventa solo grazie al suo transitare su quel ponte perpendicolare a noi dove l’idea acquisisce forma (per forza di intenzione) non tanto per far ingresso nel reale, (categoria a cui già appartiene), ma quanto per permettere a noi di contemplarla. Meglio: di contemplarne la presenza.
È proprio dal contemplare, cioè dal passare il tempo con l’idea, che si rende accessibile la potenza (creatrice) che in lei risiede e che giunge da uno spazio “più alto che altro”. Allora il valore del design (e dei designer) sta forse proprio nel saper riconoscere la potenzialità, la potenza dell’idea, nel saper vedere la luce che l’accompagna e nel sapere accogliere, attraverso la nobile prassi del lavoro, questa surrealtà come lievito del nostro quotidiano.
Cinzia Chitra Piloni