Dal Medioevo ai giorni d’oggi, l’attenzione per l’estetica nel comparto medico ha sempre avuto un valore culturale che al concetto di utilità ha cercato di affiancare la bellezza e la raffinatezza
16.11.18 , Design , Mario Timio
Iniziamo dalla sala di attesa di un ospedale o di un ambulatorio. Ci sediamo su una poltrona ed ascoltiamo la radio o a guardiamo la TV situate sul bracciolo sinistro. Niente di straordinario o di artistico, anche se, per essere una struttura sanitaria ci sembra non proprio comune. Lo è ancor di meno quando volgiamo lo sguardo sul bracciolo destro ove un display mostra dei numeri. Capiamo che esprimono il nostro peso corporeo. Poggiamo dolcemente il braccio sullo stesso bracciolo e i numeri cambiano: misurano la pressione arteriosa sistolica e diastolica e la frequenza cardiaca. Ci troviamo di fronte a quell’ideale di “design brutale” che voleva affiancare l’arte all’utilità. Ma qui c’è qualcosa di più, c’è la coniugazione di due mondi che in Italia hanno visto il fiorire del design nella sua creatività raffinata e la produzione degli apparecchi biomedicali nella loro precisione scientifica. Apparecchi che non tralasciano mai di apportare utilità chirurgica o medica unita alla bellezza e alla fantasia. È questa una tendenza che risale al Medioevo, quando i numerosi strumenti chirurgici non solo assumevano forme stilizzate ma erano intarsiati di pietre preziose e metalli nobili. Il principio era questo: se debbo costruire uno strumento diagnostico o curativo che serve per lenire le sofferenze dell’uomo, perché non mi adopero per renderlo bello e accettabile all’occhio del malato e dell’operatore? È sufficiente dare uno sguardo al set di strumenti chirurgici che ha disegnato Albucasis (936-1013) nel suo libro “Chirurgia” per rendersi conto come il design del tempo si sia impossessato della strumentazione medica. Un design che ha interessato anche gli antichi egiziani che usavano il bronzo battuto per costruire una forbita strumentazione oculistica. Design che è durato fino alla scoperta dell’antisepsi, la quale imponeva la sterilizzazione degli utensili medici che puntavano più all’osservanza di pratiche igieniche che alla raffinatezza creativa. Questa però ricompare nell’armamentario medico quando sono disponibili nuovi metalli e emergenti leghe che permettono tecniche innovative per la sterilizzazione degli strumenti. Così, entrando dalla sala di attesa all’ospedale o all’ambulatorio ci imbattiamo in strumenti che non solo sono utili ma sono dotati di concetti artistici. Mutatis mutandis, è quello che avviene negli elettrodomestici diffusi come ausilio dell’uomo e come valenza culturale. Persino negli ecografi, nelle varie forme di TAC e di risonanza magnetica, nel litotritore e nei moderni sistemi di microscopia operatoria traspare lo zampino del designer, il quale si occupa di rendere lo strumento oltre che ben disegnato anche sostenibile. La Otebiomedica sta entrando nei vari mercati proprio con questa duplice filosofia (la sicurezza e la funzionalità sono scontate). Insomma, anche in medicina il design fa cultura. Allora anche nei vari stand congressuali medici vedremo non solo glamour, lustrini e pallettes, ma anche moduli di valori. Ecco allora che emerge un design della salute che prende in considerazione le tematiche che vanno dal biomedicale al wellness passando per il care. In alcune regioni come l’Emilia e Romagna già si organizzano workshop volti a realizzare concept relativi alle evoluzioni del design della salute. Da poco tempo si sta diffondendo il design generativo medico ove l’algoritmo e l’intelligenza artificiale processano insieme a ingegneri, architetti e medici, parametri matematici e geometri complessi al fine di ottenere un modello digitale della soluzione che si sta cercando. Ad esempio la malattia e il modo migliore di trattarla. Il tutto inserito nel pensiero del biologo inglese D’Arcy W. Thompson che nel suo libro Crescita e forma del 1917 scriveva: “L’armonia del mondo si manifesta nella forma e nel numero, e il cuore e l’anima e tutta la poesia della filosofia naturale si incarnano nella bellezza matematica”. A partire dalla poesia e dalla filosofia, il professore di modellazione dello spazio al Politecnico di Milano, Giorgio Buratti, annuncia che “alcuni licei stanno già sperimentando il design generativo e computazionale”.
RIFLESSO
Registrazione Tribunale di Perugia n.35 del 09/12/2011
ISSN 2611-044X