Fashion design per l’emergenza

Esperienze didattiche di progettazione sperimentale per la Moda

09.08.19 , Design , Collaboratore Riflesso

 

Fashion design per l’emergenza

Questa volta è la moda a spogliarsi della sua accezione più frivola, quando si riferisce – dal latino modus, maniera – alle tendenze mutevoli e passeggere dettate dal mercato. È piuttosto nel termine anglosassone “fashion” che si può ritrovare una vocazione più profonda, che attraverso la parola francese façon affonda a sua volta le radici nella lingua latina (factio, factionis) a indicare il significato di fazione, per svelare come attraverso la scelta di ciò che indossiamo sia possibile dichiarare una presa di posizione nei confronti del mondo che ci circonda.

La moda ha il potere di influenzare lo stile di vita delle persone e in questo modo concorre ai cambiamenti della società. Le situazioni di emergenza che negli ultimi decenni hanno colpito sempre più persone nel mondo, a partire dalle guerre fino ad arrivare a quelle legate a calamità naturali, sembrano problematiche lontane dalle passerelle, invece sempre più stilisti di moda si lasciano interrogare dalle esigenze della gente e a loro volta richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica.

Tra i fashion designers che più hanno influenzato il linguaggio estetico a livello internazionale si distingue il giapponese Yohji Yamamoto. Nato sotto il secondo conflitto mondiale a Tokyo, la devastazione materiale e culturale del suo paese ha segnato profondamente la sensibilità di questo giovane creativo. Dagli esordi fino ad oggi Yamamoto esprime uno stile unico nel suo genere, in cui predominano il colore nero e le forme ampie, che rievocano le antiche stampe giapponesi, abbinati a tagli asimmetrici, strappi e tessuti grezzi che ricordano gli abitanti di città decadenti, sopravvissuti di una civiltà post-atomica.

A volte anche l’arte utilizza la moda come strumento di riflessione sulle situazioni di emergenza, come nelle opere di Lucy e Jeorge Orta. Dagli anni novanta i due artisti introducono il concetto di “abito-rifugio” in cui il corpo indossa delle micro-architetture autosufficienti che lo proteggono dall’ambiente circostante. Attraverso i loro progetti di arte contemporanea lo studio parigino Orta ha come obiettivi da una parte quello di richiamare l’attenzione verso le questioni di emergenze umanitarie che coinvolgono il nostro pianeta e dall’altra quello di fornire degli scenari di sopravvivenza per un futuro apocalittico non poi così lontano.

Il fashion design quando si interroga sulle emergenze sa anche servirsi del mercato come veicolo di sostegno concreto, mosso da un’etica che si traduce in estetica. Negli ultimi anni, due start-up in particolare hanno saputo dare vita a delle collezioni di accessori moda che aiutano la situazione di migliaia di rifugiati sulle coste mediterranee. Il primo progetto Makers Unite parte dal recupero dei giubbotti di salvataggio per creare borse e custodie confezionate dagli stessi profughi, ospiti di strutture europee, in cui questi salvagenti diventano il simbolo concreto del loro viaggio verso una nuova vita. Il secondo progetto Bag2work, come il primo, parte dalla valorizzazione di uno scarto come i gommoni che una volta approdati sulle coste europee ingombrano le spiagge con un notevole problema di smaltimento. I due giovani designers ideatori di questa iniziativa hanno pensato di riutilizzare molti degli elementi di queste imbarcazioni per creare delle borse leggere, pieghevoli ed impermeabili con modalità di assemblaggio semplici, che non richiedono l’ausilio di grandi tecnologie e che possono essere eseguite dagli stessi rifugiati dei campi di accoglienza adiacenti alle spiagge, per poi essere venduti in tutto il mondo come prodotti portatori di un grande valore umanitario oltre che di innovazione estetica.

A partire da esempi di questo tipo gli studenti del corso di design dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia, coordinati dai professori Elisabetta Furin e Francesco Paretti, sono stati coinvolti in un laboratorio di fashion design innovativo nel suo genere che riguarda la tematica delle emergenze. Ad un anno di distanza dagli eventi sismici che hanno colpito l’Italia e in modo particolare l’Umbria, i giovani creativi si sono interrogati sulle esigenze pratiche e funzionali, ma anche esistenziali e psicologiche, che si trovano ad affrontare i terremotati e i loro soccorritori. I futuri designers hanno dovuto virtualmente indossare gli abiti delle persone che vivono questa situazione di emergenza per creare abiti e accessori che riflettono sulle condizioni di precarietà e perdita di ogni riferimento materiale, a partire dal recupero di materiali insoliti, ma altamente performanti, che appartengono alle situazioni di soccorso o di messa in sicurezza degli edifici. Il risultato è una collezione di capi unisex multifunzionali, trasformabili e adattabili alle esigenze di una quotidianità stravolta, ma recuperata grazie a questi nuovi abiti. Le esperienze di questi designers ci dimostrano come anche la “maniera” (moda, modus) in cui vestiamo possa contribuire a dare uno stimolo di speranza e di rinascita dove queste sembrano essere più lontane.

Elisabetta Furin

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