Beyond Emergency

Il ruolo del (co)design nelle comunità

08.08.19 , Design , Collaboratore Riflesso

 

Beyond Emergency

In determinate occasioni, in circostanze precise il ruolo della comunità è più forte e più importante di qualsiasi altra cosa. Nei momenti difficili, nell’emergenza, per esempio. Si osserva sul campo, si ascolta nei racconti di chi l’ha vissuta secondo dimensioni, anche disciplinari, diverse la necessità di coesione, di dialogo, di partecipazione, di condivisione. Tutto ciò porta, in una curiosa addizione, ad avere da una parte la disciplina del design e la volontà di conservare – quando anche l’immutabile paesaggio cambia conformazione – l’identità dei luoghi e dall’altra come risultato la ricerca della soluzione, o meglio del ventaglio di soluzioni che possano permettere di fare fronte al problema. Può ancora accadere che ci si chieda quale nello specifico possa essere il ruolo che il design, quale l’apporto proprio di una disciplina che nell’immaginario comune viene legata al concetto di ricerca della forma e della compiutezza estetica e invece difficilmente associata al tema forte dell’emergenza. Appare, dunque opportuno ricordare in questa sede che, innanzi tutto, il problema dell’emergenza riguarda la perdita della casa, delle proprie sicurezze e di una stabilità fatta di proprietà, spazi, oggetti. Già questo basterebbe a significare perché sia tanto importante applicare il pensiero caratteristico del processo progettuale all’emergenza, dal momento che comunque beni e oggetti vanno forniti, insieme a soluzioni (abitative e di supporto) e servizi (ancora, temi del design).

Il problema dunque, non è soltanto, ricostituire quanto più velocemente possibile delle condizioni che se pur temporaneamente assicurino una situazione esterna apparentabile alla normalità. La chiave è dare luogo a una quotidianità che sia accogliente ma non porti all’immobilismo, che sia di supporto e muova al confronto reciproco e alla risposta resiliente del singolo come parte attiva di una comunità. Come agire questo processo è scientificamente dibattuto da molti punti di vista proprio per la multidisciplinarità del problema dell’emergenza: apparentemente semplice la domanda, realmente complessa la risposta.

Molti sono i punti di vista specifici offerti: in ogni caso sempre più chi si occupa di emergenza, dal punto di vista psicologico o antropologico, o ancora per il DRM o per l’aspetto abitativo, reperirà che le fonti individuano nel sapere condiviso della comunità la possibilità del rispetto necessità specifiche locali.

Sopra tutti si desidera riportare il pensiero di Seema Khan, che in un documento preparato come risposta a una domanda posta al Governance and Social Development Resource Centre, esprime come sia maggiormente desiderabile sia per le agenzie governative, sia per quelle non governative e di supporto applicare politiche locali, che tengano conto dei desideri e delle necessità specifiche della comunità oggetto dell’emergenza, calibrando le soluzioni prestabilite e organizzandole in maniera tale che possano generare tattiche ready-made, prendendo adeguatamente in considerazione i bisogni specifici e non pretendendo piuttosto che soluzioni preordinate si adattino comunque.

Ecco, dunque, il ruolo del co-design, e del design in generale, che a partire da meta-soluzioni, se vogliamo macro-schematiche, grazie a un’adeguata integrazione di dati proveniente dall’ascolto della comunità sul territorio agevola e rende nodale l’indispensabile fase di preparazione (per entrambe le parti) e consente il necessario adattamento, delle soluzioni prestabilite al territorio. Sta cambiando, infatti, il modo di percepire la comunità stessa, nel pensiero generalizzato e all’interno degli organi governativi e non preposti al soccorso. Si sta correttamente abbandonando la tendenza ad approcciare il tema e il problema – quando questo si verifichi – in maniera sovraordinata, anche perché l’approccio dall’alto verso il basso ha dimostrato di non dare i frutti sperati. Un coinvolgimento attivo, partecipativo, tipico del co-design appunto, prepara a buone pratiche e a corretti sistemi di risposta, e in qualche modo anche se passibile di errori in maggior misura fa sentire allo stesso tempo importanti e curati, parte del processo e oggetto d’interesse. È quel processo di “tailorizzazione” di cui parla Benedetta Spadolini, a proposito della sua idea di design su misura: un “su misura” che è fatto allo stesso tempo di data e di esperienza diretta, acquisita con l’osservazione sul campo, e che poi applicato fornisce eventualmente soluzioni e punti di vista alternativi e trasversali. In questo senso, il pensiero alla base della disciplina del design lo qualifica come strumento, necessario e anticipatore, a favore della gestione dell’emergenza. Si pone, infatti, come un ponte: in accordo con la sua specifica missione, offre al singolo e alle comunità soluzioni per problemi e bisogni specifici, tangibili e sostenibili, condivisibili. Ancora, offre agli organi preposti a gestire l’emergenza una possibilità di dialogo, attraverso piattaforme elastiche ed esatte allo stesso tempo, implementabili e ispiratrici. Per preparare tutti (non soltanto chi poi dovrà operare sul campo) nell’eventualità che non ci sia mai bisogno di testare la validità di un processo partecipativo, attraverso un sistema performante che parli un linguaggio ormai largamente condiviso.

Luisa Chimenz

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