Ricucire un territorio

L’arte che continua a sgorgare attraverso le crepe

10.08.19 , Arte , Collaboratore Riflesso

 

Ricucire un territorio

C’è stato un crollo. Quel che resta è soltanto un cumulo di macerie, pietre, affreschi, quadri, immagini, archivi, documenti, foto, provenienze, radici. L’archivio, quello che si custodisce nei cassetti del proprio cervello, è fotografico e associa immagini innescando ignote connessioni emotive. Ad uno stato di emergenza dovuto a calamità naturali, si affianca, nella mente, la fastidiosa percezione dell’esistenza di una crisi culturale in atto ormai da parecchi decenni. Con quali strumenti un artista affronta un simile stato di cose? Attraverso il proprio lavoro.

Egli si avvicina al cumulo di macerie e seleziona i materiali che in passato già altre mani hanno modellato: assi, tavolame, tubi, brandelli, i quali, attraverso il rigore formale e la propria poetica, possono nuovamente animarsi, in una sorta di resurrezione materica.

Ma le persone che tra quelle macerie hanno perduto tutto si accorgono della presenza e del lavoro dell’artista? A volte sì, come è accaduto nel 2015 all’Aquila con la realizzazione dell’anfiteatro di Beverly Pepper, che ha voluto evidenziare quanto sia importante, accanto alla ricostruzione fisica, recuperare anche l’identità culturale della comunità. La Crepa, nella Galleria Civica di Arte Contemporanea di Spoleto, è un lavoro nato all’indomani delle forti scosse telluriche avvenute in Umbria nell’agosto del 2016, a seguito di una felice intuizione del direttore del Museo Gianluca Marziani, tesa alla rielaborazione delle lesioni sull’intonaco come fonte di rinascita. L’entusiasmo per l’incarico ha dato vita a degli appunti che, a posteriori, sembrano un reportage di guerra:

Caro Direttore, si continua con lo stesso spirito, la stessa energia che ha dato seguito alla tua fantastica idea. Dopo i primi momenti di ansia, di terrore e sconforto, ecco che i termini del giuoco si ribaltano di nuovo. Si continua a lavorare con uno spirito da resistenza civile davanti a nuovi crolli e nuove lesioni con la speranza che non sopraggiungano altre scosse a cancellare il tutto. Prendiamo ago e filo ed iniziamo a ricucire il territorio. Ci sarà a breve un’opera, la prima, e diverrà il simbolo di questa operazione.

La mostra è stata inaugurata il 12 dicembre 2016. Claudia Colasanti su Il Fatto Quotidiano si esprimeva in questi termini:

“L’artista ha selezionato sette spaccature per poi risanarle con i materiali propri del suo percorso, come specchi, frammenti di tela e di carta dipinta, lavorando in maniera intensa – ma delicata e seducente – sulle ferite degli storici muri: una cucitura iconografica e morale, nel corpo della consunzione naturale di un territorio in bilico” (Claudia Colasanti, Spoleto non tutte le crepe vengono per nuocere, in “Il Fatto Quotidiano”, marzo 2017). 

La Galleria Civica di Spoleto è un luogo denso di opere che hanno segnato la storia dell’arte degli ultimi sessant’anni. Nel momento in cui, al suo interno, si entra in relazione con l’intonaco lesionato (elevato a mezzo d’indagine), ci si accorge che quello spazio è divenuto una tela, la materia a cui affidare un messaggio. La selezione delle crepe oggetto degli interventi non è stata condizionata solo dall’istinto, ma anche dal contesto. Lasciare ampi spazi tra un lavoro e l’altro è risultato fondamentale per non creare disturbo alle opere della collezione.

Evidentemente, esiste un filo conduttore visibile, un modus operandi che, riallacciandosi a tutto il precedente percorso personale, riconduce agli elementi della ricerca. Il giuoco e l’ironia costituiscono alcune componenti che si fondono ad una dimensione spirituale. Da quest’ultima, è scaturita il sottotitolo della mostra: Sette stazioni dello spirito. In un’ampia recensione anticipatrice dell’evento su “Il Messaggero”, Antonella Manni scriveva:

“Un’operazione artistica ‘a cuore aperto’. Come fossero tagli e buchi di Fontana, cretti e bruciature di Burri fenditure firmate da Leoncillo. Così, dalle lesioni sulle volte e dalle cadute d’intonaco provocate dal terremoto del 24 agosto scorso, al piano terra di palazzo Collicola nasceranno opere d’arte” (Antonella Manni, Quando il sisma inventa l’arte della crepa, in “Il Messaggero”, ottobre 2016).

In conclusione, una riflessione sul ruolo dell’arte nell’immaginario collettivo. Può l’arte svolgere un ruolo nel recupero dell’equilibrio culturale di una comunità ferita? E in che modo? Si può provare a rispondere attraverso un testo di Ferruccio Marotti, ordinario di Storia del Teatro a La Sapienza di Roma e storico Direttore del Teatro Ateneo: Dramma e trance a Bali. Qui il dramma, insito nell’esistenza umana, viene superato mediante una trance collettiva, in cui anche gli spettatori vengono coinvolti. Ci si augura che nel prossimo futuro i musei possano instaurare un nuovo rapporto con la popolazione, facendo assumere ai visitatori un ruolo attivo, coinvolgendoli nel magnifico mondo del giuoco dell’arte.

Vincenzo Pennacchi

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