Moholy-Nagy e la Rivoluzione della Visione

07.02.20 , Arte , Lucrezia Lucchetti

 

Moholy-Nagy e la Rivoluzione della Visione

La Galleria d’arte Moderna a Roma ospita fino al 15 marzo, la mostra La Rivoluzione della Visione. Verso il Bauhaus. Moholy-Nagy e i suoi contemporanei ungheresi, dedicata alla memoria di Lázló Moholy-Nagy, un artista incredibile e visionario, la cui produzione che va dagli anni Dieci agli anni Quaranta del Novecento, ha toccato i vertici della pittura, fotografia e filmografia, e del design e lo ha reso uno dei protagonisti della Bauhaus della Repubblica di Weimar. Il suo percorso si snoda tra l’Ungheria (una parte della mostra è dedicata infatti ai colleghi ungheresi di Lázló che hanno lavorato a Roma tra le due guerre, con il titolo: “Budapest a Roma”) e la Germania, dove a partire dal 1923 comincia la sua attività più significativa grazie alla collaborazione con Walter Gropius del movimento della Bauhaus. Moholy-Nagy ne sarà il rappresentante in fotografia grazie soprattutto al testo Pittura Fotografia Film del 1925, ottavo tra i libri della movimento e testo fondamentale per la fotografia contemporanea. L’artista ungherese nasce nel 1895 a Bácsborsód, e dopo che il padre abbandona moglie e i tre figli, la famiglia si trasferisce a Mohol dallo zio della madre, l’avvocato Gusztáv Nagy, da cui prende il cognome. Lázló frequenta la facoltà di Giurisprudenza a Budapest, ma con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale è costretto ad arruolarsi. Al fronte riesce a procurarsi numerose cartoline postali in cui disegna scene quotidiane di sé e dei compagni. In mostra sono presenti numerosi disegni dell’ospedale in cui si curavano le ferite di guerra. Dopo la convalescenza non torna al fronte, ma a Budapest con l’incarico di ufficiale istruttore e qui entra in contatto con i circoli degli artisti progressisti e inizia a frequentare la scuola libera di disegno di Róbert Berény. L’Ungheria comincia ad opprimerlo e decidere di lasciare il paese. Prima espone ad una mostra presso lo studio dell’amico scultore Sandor Gergely. Colli di Buda, che troviamo in Galleria, è una delle opere che espose in quell’occasione, un’opera piena di coraggio, di espressione sintetica e fomentata. Budapest è descritta con toni di colore accesi, e con tratti violenti. La collina si espande in una curva convessa, dietro la quale sembra essere avvenuta l’esplosione di una Supernova, mostrando una luce così bianca da confonderci con quella lunare, mentre il cielo ne assorbe la luminosità alternando tratti di un blu lontano da quello reale. C’è in questo quadro tutta la nostalgia e il dolore di Moholy-Nagy per un posto che amava, ma che era pronto a lasciare.

La parte più cospicua delle opere in mostra proviene dalla Collezione Antal-Luszting di Debrecen. Sono le prime opere dell’artista ungherese, tra cui Ritratto di donna e Donna seduta entrambi disegni in carbocino su carta, Nudo Femminile in inchiostro su tela. Compaiono le opere che denotano i primi passi verso l’astrazione come Costruzione Spaziale e i lavori grafici per la rivista berlinese Der Sturm, e altre dei pittori e scultori ungheresi che condividevano le idee di Moholy-Nagy o che avevano esposto con lui tra cui Janos Mattis Teutsch e Sándor Bortnyik, Bela Uitz, Nemes Lampérth.

Ma è nella fotografia che avviene la rivoluzione della sua visione. Da giovane entra a contatto con tre fotografe da studio, tra cui Lucia Schultz, che conosce a Berlino nel 1920 e che diventerà sua moglie.

Il fotogramma è in quegli anni al centro dell’interesse di artisti che sperimentano la carta fotosensibile tra cui Man Ray e Christian Schad rispettivamente inventori della Schadografia e del Rayogramma.

La chiave della vera fotografia è il fotogramma, la creazione di una fotografia off-camera, diceva Moholy-Nagy, poiché con l’aiuto di uno strato fotosensibile, il fotogramma consente la presa diretta dei processi luminosi indipendentemente dalla macchina fotografica. “È la promessa di una modellatura ottica finora completamente sconosciuta e che ha le sue regole. È l’arma più intrisa di spiritualità nella lotta per una nuova visione”.

Per lui fotogramma e fotografia equivalgono a dipingere con la luce e a dare sfogo ad un totale sperimentalismo. Con il lavoro presso la Bauhaus , dopo il trasferimento da Weimar a Dessau, i suoi ingrandimenti e le sue foto plastiche, a cui assegna titoli lunghissimi e poetici, come “Il mio nome è coniglio, non so niente”, diventeranno il cardine intorno a cui ruota la sua carriera. Famoso è il ritratto fotografico che gli fa la moglie Lucia, in cui l’artista nasconde il volto sorridente dietro la propria mano. Il suo sperimentalismo raggiungerà l’apice con i suoi tre film sperimentali.

Lázló Moholy-Nagy è una delle figure più iconiche dell’arte del XX secolo, anche grazie allo stretto legame con l’istituzione del Bauhaus, dove quando entrò come docente garantì un cambio di passo dall’espressionismo all’astrattismo. Se ne staccò poi per fondare l’Istitute of Design, ancora attivo.

Pittore, scultore, fotografo, appassionato di arte cinetica, immerso in un continuo vortice di tecniche e materiali, ha lasciato un’eredità di insegnamenti importante ai suoi studenti che sono diventati artisti di successo come Kepes o Brownjohn. Raramente le sue primissime opere escono dall’Ungheria, questa è un’occasione ottima per capire il percorso di un uomo strabiliante e poliedrico, che si è continuamente messo alla prova, senza diventare accanito o schiavo del talento che scaturiva dalle sue opere e dalla sua persona. Un giorno chiese all’amico André Kertész, anch’egli fotografo e ungherese, di scattare alcune sue opere a Parigi. André rispose che nonostante avesse avuto piacere a farlo, poteva occuparsene da solo, visto che conosceva bene il mestiere e Lázló disse: “Sei gentile sai, ma tu sei un vero fotografo. Io gioco con la foto”. Da questo episodio si capisce quanto non si sentisse un fotografo, ma più un teorico dell’arte. O più semplicemente un grande appassionato.

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