Busti, video e artefatti: Trisha Baga stupisce all'Hangar Bicocca con the eye, the eye and the ear

04.03.20 , Arte , Collaboratore Riflesso

 

Busti, video e artefatti: Trisha Baga stupisce all'Hangar Bicocca con the eye, the eye and the ear

Schermi e ceramiche accolgono lo spettatore nella grande sala dell’Hangar Bicocca di Milano. In comune sembrano avere poco, ma comunicano un unico messaggio: questi siamo noi, visti da fuori. Gli spunti che l’artista trentacinquenne Trisha Baga, una delle più attive e stimate della sua generazione, ha collezionato nel corso di una vita sono oggi esposti nella sua prima personale italiana the eye, the eye and the ear. Le tematiche sottese alle installazioni, tanto complesse da sfiorare l’incomprensibilità, sono iper-moderne e vecchie al tempo stesso: l’intelligenza artificiale e l’essere umano, le contaminazioni culturali e multimediali, il volto della società prima e dopo l’avvento di Internet. Anche i mezzi di espressione sono quelli che ci circondano nella quotidianità, fuori dai musei: Mollusca & The Pelvic Floor (2018) e la nuova 1620 (2020) sono infatti realizzate in 3D, una sul lancio di Amazon Alexa che assume il nome fittizio di “Mollusca”, l’altra sull’evoluzione della narrazione della storia americana. Quest’ultima, che prende spunto dalla simbolica Plymouth Rock americana su cui sbarcarono i padri pellegrini, è un’installazione site specific realizzata apposta per l’esposizione negli spazi dell’Hangar. Nello stesso campo semantico di 1620 era già stata fatta No source found (2019, esibita vicino alla prima), un pavimento di frammenti di ceramica collocato su un piedistallo che ritrae il Patto della Mayflower, il primo autogoverno dei colonizzatori inglesi. Il titolo, ironico, documenta i limiti nella ricostruzione storica precolombiana nel continente.

La visione di Baga, americana di origini filippine, è frammentata: testi, suoni e immagini si sovrappongono creando un’esperienza intima e intensa senza soluzione di continuità con la vita che viviamo tutti i giorni. Quanti di noi scrivono una mail mentre guardano una serie tv, mentre suona il telefono o arriva una pubblicità? Anche qui è il cervello che deve riconoscere, catalogare e smaltire tutto nel giro di pochi secondi, mentre lo spettatore è adagiato nella semi-oscurità con cuffie e occhialini davanti a monitor e teli da proiettore. I volti di Madonna e RuPaul risplendono, enormi, facendo riflettere sulla cultura cinematografica e televisiva in un’ottica di studio degli stereotipi di genere e dei ruoli sociale. La storia di questa fusione tra realtà e para-realtà è analizzata anche nell famoso There’s No “I” in Trisha (2005-2007), un video in forma di sit-com in cui l’artista e film-maker (nata in Florida ma newyorkese di adozione) interpreta diversi personaggi che fanno riflettere sui concetti di sessualità e di costrutto antropologico. Nei cinque video esposti, ogni cosa è curata da lei: la regia, la recitazione, la scenografia. Quest’ultima occupa in più modi gli spazi dell’Hangar: un salottino arredato di tutto punto, infatti, emerge come teatralmente dalla penombra, simulando una vita che manca di apparire.

A fianco dei video vi sono sculture iper-materiche in ceramica, che fondono ironia e spirito pop: Calcified Encasements for Virtual Assistants, che vede dispositivi digitali come Alexa incastonati in busti rigidi, e i policromi Hypothetical Artifacts (dal 2015), oggetti di uso comune distorti dal tempo, che appaiono umoristicamente esposti come in un museo per le generazioni future. Esisterà un tempo in cui macchine da scrivere e telefoni saranno simboli da interpretare, senza storia e senza identità?

Baga apre finestre dentro finestre, continuando a mescolare linguaggi e materiali: anche nei Seed Paintings (2017), dipinti raffiguranti installazioni multimediali, si intravvedono figure umane e monitor realizzati con semi di gommapiuma su legno. Il ritratto è sempre quello di un mondo, il nostro, in bilico tra natura e artificio, realtà e simulazione.

Giulia Giaume

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