Nel 1962, durante la V edizione del Festival dei Due Mondi, per iniziativa di Giovanni Carandente, direttore artistico delle “Arti Visive” del Festival, la città di Spoleto si trasformò in una “città museo” grazie alle “Sculture nella Città”, una mostra/allestimento a cielo aperto che fu definita dalla stampa internazionale un evento leggendario. Cinquantatrè noti scultori del XX secolo esposero centoquattro delle loro opere nei vicoli, nelle piazze, nelle strade della città in modo da coniugare la bellezza antica e quella moderna. Le opere esposte in quell’occasione furono donate dagli artisti alla città di Spoleto e costituiscono quella che è oggi la collezione permanente di museo Carandente a Palazzo Collicola – Arti Visive che, insieme alla collezione Burri di Città di Castello, costituisce il più importante polo di arte contemporanea della regione. Palazzo Collicola, edificio gentilizio costruito tra il 1717 e il 1730 dall’architetto romano Sebastiano Cipriani, al pianterreno ospita, oltre alla collezione donata da Giovanni Carandente, che annovera opere di artisti italiani e stranieri di fama internazionale (Alexander Calder, Henri Moore, Ettore Colla, Nino Franchina, Pietro Consagra), opere realizzate da artisti appartenenti alla corrente del “naturalismo informale” acquisite attraverso il Premio Spoleto (1953 -1968). Tra i tanti capolavori spicca il nucleo di opere dedicate allo scultore spoletino Leonardo Leoncillo: vi sono compresi disegni, sculture, ceramiche e maioliche pervenuti al museo a partire dagli anni Ottanta del Novecento. Leonardi Leoncillo nacque proprio a Spoleto nel 1915 per trasferirsi poi a Roma nel 1935 dove frequentò l’Accademia di Belle Arti e gli artisti della Scuola Romana seguendo con particolare interesse la figura di Scipione e Mario Mafai. Tra le opere maggiori del primo periodo romano: i “Mostri” mitologici: l’ “Arpia”, “la Sirena”, “l’Ermafrodito”. É quando si spostò ad Umbertide nel 1939 che iniziò a dedicarsi alla ceramica, tecnica che rimarrà una costante nella sua produzione artistica e che gli permetterà di approdare alla sua peculiare identità di colore – materia. Nel 1947 aderì al Fronte Nuovo delle Arti e nel 1949 realizzò la prima importante esposizione alla Galleria del Fiore di Firenze. Dal primo Neo Cubismo, Leoncillo passò a una fase espressionista di grande drammaticità. Nel ’56, in seguito a una profonda crisi ideologica, abbandonò le forme Neo – cubiste e espressioniste per approdare al linguaggio informale allora imperante. Qui l’artista trovò le forme espressive più elevate. Un espressionismo astratto quello di Leoncillo che riesce a raffigurare tutto il dolore senza speranza di un’umanità straziata. Il senso di tragedia che permea un folto gruppo di opere realizzate nella piena maturità dello scultore è già testimoniato nella Galleria spoletina dalla “Grande Pietà”, del 1945, e da “Mutilazione”. I suoi accesi cromatismi e il controllo della materia plastica e degli smalti, lo portarono a risultati di altissimo livello, in cui affronta anche temi spaziali non lontani dalle aperture verso la quarta dimensione di Lucio Fontana. Proprio a quest’ultima fase dell’artista che morì prematuramente a Roma nel 1968, appartengono Le affinità patetiche (cm 191,5 x 67 x 40 - cm 188 x 54 x 40), due elementi in terracotta smaltata ingobbiata, montati su basi in legno. Il titolo si riferisce alle note Affinità Elettive di G.W.Goethe e viene ritenuta dagli storici dell’arte una delle opere fondamentali di Leoncillo. Datata 1962, l’opera attua in modo magistrale la sintesi tra l’ispirazione intellettuale dell’ artista e la forma plastica astratta. Due figure in cui rivivrebbe nella materia la metafora dell’umana esistenza e del rapporto patetico, cioè appassionato, tra i due sessi.