Terremoto: tra antichi miti e nuove consapevolezze

13.11.18 , Architettura , Alessio Proietti

 

Terremoto: tra antichi miti e nuove consapevolezze

“Tra i fragelli distruggitori non credo, che ve ne sia alcuno, che inspira più profondamente il terrore, e lo spavento, quanto il Tremuoto”.

(Giovanni Vivenzio, Istoria e teoria de’ Tremuoti, 1783)

 

Fin dall'antichità l’uomo ha cercato di comprendere l'origine di un fenomeno naturale tanto devastante, andando a cercare un senso talvolta sovrannaturale a un evento altrimenti inspiegabile. Miti, leggende, teorie e scoperte scientifiche si sono susseguiti, mantenendo come filo conduttore il termine dell'imprevedibilità, determinando una paura ancestrale con cui l'uomo ha difficoltà a convivere.

Un'immagine che ben raffigura questo senso di precaria stabilità ci giunge da una leggenda siciliana del 1200: l’abilissimo nuotatore Colapesce, immergendosi in fondo al mare per ordine del re, notò che la Sicilia era sorretta da tre colonne, una delle quali prossima al crollo. Si sostituì ad essa per non far sprofondare l'isola e non riemerse mai più. Quando tuttavia il giovane eroe cambiava posizione per stanchezza, la terra tremava. Un rimando a questo mito sembra essere giunto anche a L’Aquila, in un mascherone pisciforme nella Fontana delle 99 Cannelle, che alcuni riconducono a Colapesce e alla Sicilia di Federico II.

Sotto il Ducato di Cosimo I, nel 1542, un disastroso sisma si abbatté sul Mugello. Gli abitanti delle zone colpite, anziché ricevere agevolazioni ed esenzione dalle tasse, si videro aumentare le imposte e comminare “provvisioni” contro bestemmiatori e sodomiti. Assunto che la sciagura fosse una punizione divina contro i peccati umani, l'attenzione era dunque volta alla ricerca dei colpevoli, secondo una pedagogia della paura operata dal clero del tempo per ricondurre gli uomini sulla retta via. Parallelamente all'interpretazione ecclesiastica, i filosofi naturalisti sostenevano invece l'antica teoria aristotelica, secondo la quale la causa dei terremoti andava ricercata nella pressione di venti sotterranei imprigionati nei meandri della Terra. In base a tale interpretazione, Firenze avrebbe subìto solo lievi danni dal sisma del 1542, grazie allo sfogo permesso ai venti dai numerosi pozzi presenti in città.

Nel giorno della festa di Ognissanti del 1755, il catastrofico terremoto di Lisbona accese un dibattito teologico e filosofico che modificò il pensiero culturale di un'Europa in piena età illuministica. Se a tal proposito Rousseau sosteneva che “se gli abitanti fossero stati distribuiti più equamente e alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento”, Kant appuntava che “noi abitiamo tranquilli su un suolo le cui fondamenta vengono di tanto in tanto scosse. Edifichiamo senza darci troppo pensiero su volte le cui colonne talvolta vacillano minacciando di crollare”. Convinzioni legate a rivendicazioni divine perdevano forza a favore dell’errore umano e di concetti pratici che oggi ricondurremmo a pericolosità, esposizione e vulnerabilità, nell'equazione che definisce il rischio.

Lisbona veniva ricostruita, analogamente a dozzine di altri centri abitati che nel corso dei decenni, e fino ai giorni nostri, hanno subìto simile sorte. Un graduale processo di miglioramento della sicurezza degli edifici, condotto però a posteriori, senza prima aver fatto abbastanza per proteggere gli abitanti, il patrimonio architettonico e artistico, gli equilibri socioeconomici. La consapevolezza ci porta quindi verso una cultura della prevenzione. Necessaria, ineludibile, ma sufficiente a risanare crepe dalla genesi così profonda?

Al computo delle perdite post-sisma, si affiancano dei valori uncountable. La fiducia, ad esempio. Sarebbe infatti una vittoria di Pirro ricostruire una casa, senza ricostruire la fiducia dell'abitante in quello stesso edificio, di un cittadino nella propria città. Siamo in grado di definire il punto di snervamento di un materiale da costruzione, ma sappiamo individuare il punto di snervamento psicofisico di una popolazione investita da un forte trauma? C’è uno stato limite di salvaguardia della fiducia nella tecnica, nelle istituzioni, nella ricerca scientifica?

È auspicabile un approccio interdisciplinare che punti alla resilienza materiale e immateriale, in cui la comunicazione, fatta di molteplici mezzi e forme di espressione, raggiunga utenti che non siano solo interlocutori finali di un processo, ma decisori attivi, informati e formati. In questo senso, un passo importante è la recente istituzione della Cattedra Unesco in “Intersectoral safety for disaster risk reduction and resilience” presso l’Università di Udine.

Permane il nodo cruciale dell'imprevedibilità a breve termine di un terremoto, ma studiare l'eziologia del fenomeno, definendone leggi fisiche e modelli, può contribuire a ridurre il livello di incertezza. A questo scopo, nei laboratori dell'Ingv di Roma è in azione Shiva (acronimo di Slow to High Velocity Apparatus e richiamo alla divinità distruttrice indù), prima macchina al mondo in grado di simulare il "motore" dei terremoti. Ancora una volta il mito (qui solo metaforicamente) è la lente con la quale l’uomo indaga la realtà, cerca delle risposte, consapevole più che mai di dover essere lui al centro della ricerca-azione, quale elemento imprescindibile, più delicato e al contempo resistente della struttura.

Alessio Proietti

Articolo pubblicato su RIFLESSO EMERGENCY - Speciale sulla Cultura delle Emergenze - ISSN 2611-044X

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