Dalla sommità di quel colle di gesso, tra il profumo incontaminato della natura, le rovine della rocca sveva donano al visitatore una vista mozzafiato che spazia a trecentosessanta gradi: dalle Tremiti e il vicino Gargano, passando lungo tutta la valle del Trigno fino alle sommità della Maiella e del Gran Sasso.
Non a caso, e a ragion veduta, si suppone che i resti della rocca siano il segno ancora tangibile di quella rete di fortificazioni volute da Federico II di Svevia in difesa dell’amatissimo regno in fondo alla penisola italiana. “Ci sono più e più ragioni – afferma il parroco Don Nicolino Calvitti nel suo libro Mafalda: il tempo, i testimoni, la memoria – per cui il genio, anche militare, di Federico II e i suoi collaboratori scelsero l’antica Trespaldum perché fosse Rocca superba agli occhi delle popolazioni vicine o motivo scoraggiante di avventate incursioni”.
Gli studi successivi condotti dall’archeologo Davide Aquilano non fanno altro che confermare detto in precedenza. Sul blog “I love Mafalda” si legge: “La prima menzione documentaria dell’abitato, allo stato attuale, risulta nel Catalogus baronum (metà XII secolo), tra le terre tenute in suffeudo da Roberto de Rocca per conto di Ugone di Attone.
È probabile, però, che la sua nascita sia da porre tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo, quando l’area di confine sud-orientale tra gli odierni Abruzzo e Molise fu interessata da un’intensa e capillare riorganizzazione generale basata sulla creazione di abitati accentrati (incastellamento).
Non sappiamo se Ripalta sia identificabile con uno dei castelli creati alla fine del X secolo da Montecassino trasformando alcune sue curtes ubicate lungo la sommità del versante destro della bassa valle del Trigno: possiamo però affermare con certezza che doveva trovarsi ai margini dell’estesa proprietà fondiaria del monastero.
Ricordata da altri documenti di epoca successiva, se ne perdono le tracce nella seconda metà del Trecento, fino a quando non ritorna in un privilegio emanato da Alfonso il Magnanimo nel 1457, con cui il sovrano aragonese l’assegnava ad Andrea di Eboli. Nel documento risulta che l’insediamento all’atto della cessione era “inabitato”.
All’abbandono, avvenuto nel corso della seconda metà (la leggenda parla di un invasione di formiche) del XIV secolo in seguito ad una profonda crisi strutturale dell’area adriatica, seguì nel tardo Quattrocento il ripopolamento con profughi croati che sfuggivano all’avanzata turca”. I nuovi arrivati, preferirono però insediarsi, probabilmente per la presenza in loco di un convento, sulla collina dove sorge attualmente Mafalda. Senza ombra di dubbio, il sito di Ripalda Vecchia diventa simbolo e testimonianza incontaminata di un Molise medioevale tutta da scoprire.
Andrea Mastrangelo