Iter Teatro

Ricontrollare le rotte, in un’epoca di crisi di destinazione

07.08.19 , Architettura , Collaboratore Riflesso

 

Iter Teatro

L’idea nasce da alcune suggestioni d’infanzia. Sono cresciuto in una città, Palermo, che nel suo idioma greco, significa “tutto porto”. Il paese di mia madre era un borgo di pescatori, e dopo gli studi mi sono trasferito a Milano, dove gli uomini hanno anch’essi dato grande importanza all’elemento che mi ha più affascinato in questi anni: l’acqua.

Il progetto ha vissuto diverse stesure concettuali dal 2010 a oggi, ma le trait d’union è stato sempre l’essere uno spazio polivalente, modulare, itinerante che potesse agire su spazi aperti, chiusi, e che funzionasse anche sull’acqua, in particolari condizioni. Di forte ispirazione sono state le tonnare siciliane, sia l’edificio sia il corpo delle tonnare, ossia la trappola per la cattura dei tonni, non solo lo schema ingegneristico che si definiva stagionalmente in mare, quanto il concetto di ritualità che ne conseguiva specialmente dall’ottocento ai primi del novecento, le logiche comportamentali dei loro operatori e protagonisti, gli aspetti spirituali e il rapporto tra uomini e natura che né scaturì, uno spazio di lavoro, di canti, di preghiera, di rivalsa, di sangue, di sacrificio, di speranze talvolta inattese. Una messa in scena dalle radici millenarie, essendo pratiche che risalgono agli antichi Greci.

Il campo d’azione ha quindi, in questo impianto mobile, come baricentro urbano, la linea di confine tra terra e acqua, ricalca le dinamiche degli empori, dove arrivavano le merci e avvenivano contrattazioni, accordi, passaggi, idee, un locus relationis tra i popoli.

In questi anni la ricerca del carattere costruttivo è stata interessata dalle attinenze che ho sempre rilevato tra tecniche marinare e tecniche teatrali, in marina vi sono le vele e in teatro i fondali, sulle navi i pennoni e sartie, in palco stangoni e mantegni, stiva e sottopalco, per non parlare di cime e tiri, e certamente i nodi. Mi sono chiesto per anni se marinai e maestranze teatrali si fossero mai incontrate per un fine comune, ne ero certo, e ho viaggiato alla ricerca di questa mia tesi, oltre che lungo le coste italiane, in Svezia, Olanda, Norvegia, Stati uniti. La risposta era però a Roma! Durante l’epoca di Vespasiano, infatti, circa mille marinai movimentavano il colossale velario dell’Anfiteatro Flavio, con un ingegnoso sistema di argani, simile ai tamburi del cambio scena in uso nei teatri dal XVIII secolo.

In concreto Iter Teatro non è che l’evoluzione minore di tanti impianti che nella storia hanno lasciato una testimonianza d’incontro, dal carro di Tespi alle macchine itineranti barocche, come il carro di S. Rosalia e gli apparati effimeri per le feste religiose, o più recentemente il “Tetiteatro” di Alberto Martini, sino al “Teatro del Mondo” di Aldo Rossi.

Prevalentemente è costituito da legno, metallo, tessuti e cordame. Giunge disassemblato in un disimpegno urbano lontano dal pubblico, rapidamente pochi macchinisti ne accorpano i componenti a funzione di macchina itinerante, che negli ingombri è capace di districarsi anche nei piccoli centri. Il percorso, l’iter, comporta già una spettacolarizzazione, in quanto la morfologia è réclame di se stesso. Dopo il corteo si giunge al luogo deputato, ed è qui che avviene la metamorfosi in spazio scenico, tale da accogliere: dalla prosa, ai concerti, proiezioni cinematografiche, letture, eventi culturali, conferenze, laboratori, e altri contenuti artistici.

In un’epoca di nichilismo, che aggredisce principalmente le nuove generazioni, dove troppe volte spazi a esse dedicate sono assenti, ma di contro vi è un esubero di spazi in disuso, questo palco vuole essere un mezzo di socializzazione culturale, nell’intento di intercettare su campo, necessità, evidenziando e confrontandosi su sostanziali emergenze che minacciano di sfuggirci di mano, il cui bilancio, nel mondo occidentalizzato è in costante negativo incremento.

Così un effimero avamposto, nelle piazze o nei luoghi di aggregazione, ritorna per alcune ore ad essere un ritrovo di esperienza fisica, dove mettere in pausa i dispositivi che ci obbligano a rapporti sempre più veloci, risposte repentine, immediate, sgrammaticate, istintive, allora fermarsi un momento a riflettere su quelle che Kant individua come categorie di base: lo spazio e il tempo, e di conseguenza come scegliere di ridiscuterli; soffermarsi, far prendere al corpo e allo spirito una boccata di ossigeno. Ascoltare un brano musicale, la lettura di un sonetto, senza staccarsi dal contesto urbano, senza varcare necessariamente la soglia d’entrata di un cinema o un museo, uno stop temporale, come si fa in un parco pubblico per riordinare le idee.

Dovranno principalmente essere i giovani a equipaggiare nei contenuti, questo teatro, che è pensato per installarsi come filtro, come anticamera, nei suddetti luoghi, con le loro domande, riflessioni, confronti, soluzioni, di reale desiderio di progresso, in un’epoca di forti mutamenti dominati dai mercati e dal profitto: “[…] così sì va verso la pazzia” fa recitare, R. Rossellini, ad un anziano, ne L’età di Cosimo de’ Medici.

Auspico che non solo emergenze culturali venissero trattasse attraverso questa costruzione, ma che potesse ospitare argomentazioni politiche rilevanti, quali il necessario ritorno al dialogo con la Natura, che non manca di mandare messaggi precisi, che la scienza ci traduce come istanze e azioni improrogabili, basti pensare al dramma della plastica negli oceani. Così ho pensato di inserire nell’impianto, al centro nel sottopalco una vasca che può essere allagata, per permettere l’uso drammaturgico dell’elemento liquido, da cui è partito il concetto di fondo.

In definitiva questa macchina scenica, in fase di prototipazione, se avrà il merito di farsi accettare nelle città che vorranno ospitarla, che siano piazze o specchi d’acqua, non sarà altro che un piccolo scrigno che raccoglierà testimonianze durante i suoi viaggi, per rivolgersi, come si fa ad una bussola, quanto le rotte che stiamo tracciando, siano in linea con le risorse a noi affidate, e continuare il dibattito tra uomo e natura che, andrebbe a mio parere, ripreso come atteggiamento, nei temi, in maniera rinnovata, nel nostro piccolo di singoli pensatori, riprendendo dal più importante, ricominciando dall’acqua.

Ottavio Anania

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