“Il bello è promessa di felicità” asserisce il filosofo tedesco Theodor Adorno(1903-1969). Promessa non felicità. Di fronte a un quadro di Picasso, a uno scorcio sulle Dolomiti o a un tramonto all’isola di Capri percepiamo una bellezza che si fa sentimento che vorremmo prolungare nel tempo per continuare a essere felici. Il bello è sì presente nell’immediato, ma si consuma come veicolo di felicità nel futuro. E talvolta come tormento se non la si raggiunge. Ce lo ricorda Michelangelo Buonarroti (1476-1564): “Se durante la mia giovinezza mi fossi reso conto che l’immortale splendore della bellezza di cui ero innamorato avrebbe acceso, rifluendo verso il cuore, un fuoco di infinito tormento, come avrei spento volentieri la luce nei miei occhi”. Molto prima di Adorno, quindi, Michelangelo, che tanta bellezza ha creato e diffuso nel mondo, aveva percepito che il canone di bellezza è trasferibile come promessa di felicità e di desiderio di riviverla. Ed anche la bellezza naturale, quella che risplende dai monti o che traspare dalla delicatezza delle farfalle o dall’alternante luccichio delle lucciole o dalla perfezione della fioritura primaverile, crea in noi piacere che vorremmo rigenerare in futuro come appunto promessa di felicità. Però attenzione. Si dice che la bellezza ci salverà. Da che cosa? Dalla disperazione. In momenti di sconforto, di buia sfiducia, di ombra di avvilimento, fermiamoci un momento per osservare qualcosa di bello o richiamare alla memoria, anche con nostalgia, icone di bellezza, che anche in questo contesto ci salva perché promette felicità. Allora accostiamoci al bello, un valore che è stato dissacrato dalla cultura contemporanea, come a uno dei più profondi lati segreti e nascosti della realtà. Dissacrazione determinata da una non sopita ideologia anti-borghese (tutti i capolavori di scultura, pittura, letteratura e poesia respinti perché borghesi) e nichilista. Il bello ha avuto in sorte il privilegio di rivelarsi nella dimensione del fisico – asseriva Platone – ossia mediante i sensi e segnatamente gli occhi. Ma con la vista non si vede la saggezza, ma si assapora la bellezza nella sua forma più manifesta e amabile. Alla Expo di Milano intesa come vetrina di cose belle (poiché ogni nazione ha esposto il meglio di sé), chiedete ai visitatori cosa maggiormente li ha impressionati: la vista di tanta bellezza concentrata in una infinità coreografica da godere e da portare a casa, certo per vagliarla con le categorie della saggezza, ma anche per assaporarne i contorni che danno felicità postuma. Chiedete all’astronauta Samantha Cristoforetti, in questi giorni di ritorno dalla Soyuz, come ha vissuto la bellezza dello spazio e dello stivale italiano illuminato di notte, e come la trasferisce nella sua vita “terrena” per assaporarne o riviverne le componenti emotive in un futuro senza fine perché avvolto dalla bellezza del mondo che pochi occhi hanno avuto la fortuna di sperimentare. Allora la terra non più “atomo opaco del mal” come la definiva il poeta Giovanni Pascoli, ma “atomo sorgente di bellezza” come deve averla vista Astro-Samantha.