In Umbria ovunque si sente profumo di cultura enogastronomica. É un profumo che emana da antiche civiltà e da emergenti stili di vita, dal contado come dai grandi centri, dalla cucina di campagna come dai cucinotti di suntuose ville, dal ristorantino di periferia come dal locale gourmand. Certo, occorre imparare a gustare tale profumo, a creare un'educazione che insegni il bello e lo diffonda. É un sapere, quello culinario umbro, che va sostenuto e legato alla storia di una terra millenaria che ha fatto dell'accoglienza, dell'ospitalità e del buon vivere il proprio viatico. Nel passato disquisire di cucina sembrava cadere nella banalizzazione, o al massimo equivaleva a rivolgersi solo agli addetti al lavoro. Appariva impossibile indirizzarsi con intelligenza a un pubblico diversificato, poiché la cultura culinaria non si presentava né efficace, né persuasiva al di fuori di ristretti circoli elitari e accademici. Mancava insomma l'integrazione nella vita della società e, come argomenta la filosofa Martha Nussbaum, "mancava la capacità di sintonizzarsi con l'esperienza di un vasto numero di persone, convinte che questa integrazione fosse stata impossibile". Oggi tutto è cambiato, anzi capovolto. Si è convinti che la cultura possa incrementare la crescita economica se non ignora fattori come la fantasia, l'indipendenza mentale, l'etica, la storia, la responsabilità sociale. Fattori che inseriti nella cultura culinaria restituiscono quella fragranza che rappresentava l'ingrediente basale di quei piatti che hanno fatto la storia dei nostri territori. E così si assiste ad un proliferare di manifestazioni culinarie – di diverso livello di presentabilità – , di talk-show televisivi, di articoli e di riviste in cui l'argomento cibo la fa da padrone. Senza parlare dei libri di cucina che inondano le nostre librerie. Ce ne è uno recente che si inserisce nella politica seguita da questa rivista che punta sulla filosofia e cultura umbra del gusto (vedi l'attenta rubrica di Marilena Badolato), dal titolo: "Il gusto come esperienza. Saggio di filosofia ed estetica del cibo" di Nicola Perullo. Ma la cultura culinaria non deve rimanere nei libri o essere appannaggio di pochi specialisti. Deve essere diffusa con ogni mezzo, non solo con le iniziative del singolo, ma essenzialmente con il veicolo delle istituzioni. Se queste non fanno proprio l'assunto che favorire la diffusione e l'esportazione dei prodotti agricoli equivale ad accrescere l'economia, si perde una grossa occasione di espansione sociale e lavorativa. E forse mai come in questo settore la rivoluzione culturale innalza il Pil. Le istituzioni non debbono fare riferimento a Socrate che nel Fedone sentenziava: "Ti pare che un vero filosofo o politico possa curarsi di piaceri come quello del mangiare e bere?", ma piuttosto metabolizzare l'affermazione di Aristotele: "Il gusto è un senso acutissimo perché crea un contatto non distante, ma intimo tra il soggetto che conosce e l'oggetto della sua conoscenza". Tradurre questo aforisma nelle varie lingue, potrebbe già essere parte del business di esportazione dei prodotti enogastronomici dell'Umbria.