O come olio

Martedì, 14 Luglio 2015,
Nelle piazze del cibo di Expo si incontrano gli alimenti fondamentali della storia dell’uomo, in padiglioni tematici la storia racconterà il gusto. Qui vi è l’olio, alimento dei primordi dell’umanità, per illuminare, conservare, nutrire, per la fabbricazione dei saponi o la lavorazione dei pellami e dei tessuti, e come prezioso unguento per le sue riconosciute virtù terapeutiche. Arrivava a Roma in capienti anfore e in grandi navi dalla colonia Hispania Baetica. Le navi toccavano Sardegna, Sicilia fino al porto di Pozzuoli dove il carico era suddiviso in barche più piccole che navigavano, lungo costa, fino a Ostia  e risalivano poi il Tevere, fino all’ Emporium, il grande porto-mercato sul fiume. Le anfore, quasi vuoto a perdere, erano fatte a pezzi a formare il Testaccio, dal materiale delle quali, questo quartiere prende il nome. Era un “olio maturo”, utilizzato per l’illuminazione e ad uso della plebe mentre quello buono, ex albis ulivis e che Plinio chiama onfacino era prodotto nelle ville dell’agro romano, nel Venafro e fino a Benevento, dove vi era l’eccellente olio etrusco e più a nord nella Tuscia e più su fino al lago di Garda. Quando finì l’epoca coloniale il commercio si interruppe e l’ulivo trovò riparo e cura nei conventi, soprattutto benedettini, che ne continuarono la coltivazione e lo utilizzarono anche per scopi medicinali. E oggi all’olio d’oliva vengono riconosciute importanti proprietà medicali grazie a studi scientifici nazionali e internazionali, che lo definiscono “alimento nutraceutico” cioè benefico per la salute dell’uomo. Non solo contiene elementi capaci di influenzare positivamente i processi metabolici dell’organismo, ma grazie alle sue componenti antinfiammatorie e antiossidanti, svolge una azione protettiva e chemio preventiva  nei riguardi della cancerogenesi soprattutto nei tumori della mammella, del grosso intestino e della prostata. Sembra anche che all’aumentare della  quantità di olio assunta diminuisca parallelamente il valore dell’OR, cioè la misura del rischio. (Proprietà anticancerogene dell’olio d’oliva. Guido Morozzi, Roberto Fabiani. Dipartimento di Specialità Medico- Chirurgiche e di Sanità Pubblica, Università degli Studi di Perugia). L’olio è slow. Che sia un “affare lento” si intuisce, lo sentiamo in bocca. Ricopre e con la sua lenta viscosità riveste il palato e la vivanda e li nutre di sapore e salubrità. Olio extra vergine d’oliva naturalmente buono e sano, più o meno piccante, dolce o più amaro, al profumo di erba fresca e carciofo o di splendido pomodoro maturo o leggermente mandorlato. Un fruttato più o meno intenso che si sposa perfettamente con la cucina regionale italiana, le dona nerbo o dolcezza, sapidità o eleganza, colore marcato o semplice lucentezza, plasmato in forme stravaganti e moderne di gocce gelatinate e in polvere d’oliva dalle mani di abilissimi cuochi o semplicemente come filo dorato che scende a condire. Alcune cultivar: dalla Toscana, che oltre ad avere le qualità di olive tipiche del centro Italia, ha in più il maurino e il rossellino ed è stata la prima regione ad avere varato l’importante legge sul germoplasma; all’Umbria dalle verdi colline olivate di moraiolo, frantoio, leccino, dolce agogia, san Felice; alle Marche con le ascolana, carboncella, coroncina, cornetta, leccio del corno; all’Emilia con la nostrana di Brisighella e ancora le biancona, capolga, colombina; la Liguria con la taggiasca, la arnasca, le castelnovina, colombaia, cozzanina,; la Lombardia con la storica sponda bresciana del  lago di Garda e il Trentino e il Veneto con le varietà casaliva, raza, favarol tipiche del nord Italia; il Friuli Venezia Giulia con le bianchera, buga, carbona, corniola, drobnica. E a scendere il Lazio dalle cultivar aostina, borgiona, caninese, itrana, nostrana Fiano romano, salvia; e ancora l’Abruzzo con la caprina vastese, la cerasa di Montenero, gentile dell’Aquila e di Chieti; la Puglia e la celebre coratina, la peranzana, la bella di Cerignola, la cellina barese, la dolce di Cassano; la Campania e  le minucciola, cammarotana, capotuosto, cornacchiola, femminella di Torraca, olivella; la Sicilia con la nocellara coltivata da tempi antichissimi e le abunara, attana, cacaredda, leucocarpa; la Calabria con la borgese, la carolea, la dolce di Rossano  e la grossa di Gerace e la Sardegna con la corsicana, la bosana, la cariasina, la nera di Oliena, la sassarese, la tonda di Cagliari. La pianta dell’ulivo ha qualcosa di sacro e nello stesso tempo qualcosa di antropomorfo. Nella sua chioma, nel tronco possente sembra riprodurre la forma dell’uomo che la cura da sempre. E nello stesso tempo, nel rivestire di silenzio e d’argento il paesaggio naturale, sembra possedere un’aura di  sacralità.

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