Editoriale (36)

Non si può dire che l’Umbria difetti di bellezze. Al contrario si pone come una delle regioni in cui la parola bellezza è applicabile a diversi contesti. É risaputo che le umbre sono tra le donne più belle d’Italia. É noto che l’Umbria possiede bellezze da vendere nel settore naturalistico, artistico, architettonico, storico, monastico. Chi frequenta l’Umbria riporta a casa il profumo e la bellezza gustativa della tavola umbra. Insomma gli umbri sono stati “unti” del dono inatteso della bellezza. Certo, la bellezza non si spiega ma, come annota Thomas Mann (1875-1955), “colpisce anche quando non la si cerca oppure quando la si interpreta”. Può apparire banale ma parlando di bellezza non  si può non fare riferimento alla celeberrima  frase di Dostoevskij. “A salvare questo mondo non basta l’economia, non basta la politica, ma è assolutamente necessaria la bellezza”. La bellezza non può essere ricondotta alla sola accezione “bello”. Anche nella Bibbia ci imbattiamo nella parola “bello” con il significato di “buono”, “utile”, “significativo”. Allora facciamo nostro il messaggio del Concilio Vaticano II quando conferma che: “Il mondo in cui viviamo ha bisogno di bellezza per non oscurarsi nella disperazione. La bellezza come la verità mette gioia nel cuore degli uomini, è il frutto prezioso che resiste all’usura del tempo, che unisce le generazioni e le congiunge nell’ammirazione”. Lo conferma  la recente  mostra del  Merletto a Panicale ove la bellezza si trova in ogni luogo e in ogni angolo, il panorama, il patrimonio artistico, l’ambiente la natura…il ricamo. Chi della bellezza ha perso il gusto si muove in un mondo opaco dove la luce e la poesia sono assenti. Anche se continua a proclamarla a voce. E dalla categoria della bellezza non coltivata alla bruttezza il passo è breve. Aneliamo alla bellezza ma non vorremmo essere immersi in brutture che di solito sono principio di abbrutimento. Aneliamo a valorizzare gente che fa della bellezza il proprio vessillo. Gente che ama far splendere tutte le bellezze della regione. Persone che amano l’Umbria. Ed allora mettiamoci insieme per coniare e per vitalizzare  con amore un acronimo: UmbriAMO. Se crediamo alle nostre bellezze saremo vincenti.
Non è ben definibile la felicità, ma ve la racconto. Non faccio riferimento agli scettici antichi che ribadivano che la dimensione più autentica della filosofia è quella della saggezza che insegna come vivere per essere felici. Né ancor meno alla tendenza umanistica-rinascimentale che riponeva la felicità umana nell’estasi d’amore o nella  realizzazione pratica della virtù etica. Così come è difficile commentare l’articolo della Dichiarazione di Indipendenza  americana voluta, da Jefferson nel 1776, in cui si stabiliva che la felicità è un diritto di tutti gli uomini. La felicità jeffersoniana – o eudaimonia nell’antica Grecia – evocava virtù, comportamento integerrimo, generosità. Da allora, perseguire e ottenere la felicità è diventato simbolo dei diritti naturali dell’uomo, ovviamente quando non è a spese di altri. La felicità della società è la  priorità di ogni governo, sottolineava Arthur Schlesinger. Ma anche nei Paesi che la vorrebbero assoluta e garantita dallo Stato, la felicità ha le sue tristezze. Ad esempio, nel Bhutan, nazione himalaiana tra Cina e India, famosa per l’indice di Felicità Interna Lorda (FIL) che sostituisce il nostro PIL, alle ultime elezione il partito della Pace e della Prosperità al governo, è stato sonoramente sconfitto non tanto sul FIL ma sul PIL. A sostegno che una buona economia non basta a rendere felici, ma non si diventa felici senza una buona economia. Un binomio ben noto agli occidentali. Nel gioco delle felicità entrano varie componenti. Da umbro ve ne racconto alcune, Dire che in Umbria la qualità della vita è ancora alta, malgrado si faccia di tutto per  ridimensionarla, è una ovvietà. E anche asserire che il profumo inebriante della natura e della spiritualità umbra conferisce  felicità, rappresenta un dato di fatto, anche se non inseribile nel FIL himalaiano. É ancora felicità quando vieni a contatto con politici che cercano il bene comune, in un momento in cui la loro reputazione è al minimo storico. Si dà il caso che il Sindaco di Assisi, Claudio Ricci, da tempo si sta adoperando, come un novello Sisifo, a salvaguardare due istituzioni a favore della sua città, dei suoi concittadini, della Regione. Si tratta di salvare il punto nascita dell’ospedale, che una norma regionale iniqua vorrebbe tagliare e di mantenere la facoltà di Scienza del Turismo che, malgrado gli ottimi risultati raggiunti in tanti anni ed il numero crescente di studenti, è stata oggetto del disinteresse più assoluto a proseguire l’attività didattica.. Bene, a me questo amore di Sindaco alla propria città, manifestato con sit-in di fronte alla sede dell’ASL o della Università, legato con catene avanti l’Ospedale, che fa lo sciopero della fame e della sete al Ministero della Salute e della Pubblica Istruzione, dà una carica di grande felicità e mi fa riconciliare con l’attuale classe politica, sciatta, inconcludente e ignara del bene comune. Ricci sta cercando il bene comune che conferisce felicità la quale  riscalda i nostri giorni e anima non solo la nostra sfera interno ma il mondo che ci circonda. E sono certo che se in Assisi fosse vigente il FIL, il Sindaco Ricci vincerebbe ogni competizione.
Ho un sogno. Anzi due. Due piste ciclabili che attraversassero l’Umbria a croce. Una realizzabile lungo gli argini del Tevere da Nord a Sud della Regione l’altra dal lago Trasimeno a Spoleto. Come? Intanto ridisegnando, utilizzando e potenziando tratti di piste già esistenti sia lungo il Tevere che sulla traiettoria Trasimeno-Assisi-Spoleto. Poi trasformare in realtà le varie e vaghe intenzioni istituzionali di itinerari ciclabili a partire da quel mega-progetto regionale sul riordino delle infrastrutture di mobilità ecologica .Quindi rendere fattibile la proposta di 100 chilometri di pista ciclabile per visitare il cuore verde dell’Umbria collegando San Francesco a San Benedetto, attraverso Spoleto, Campello sul Clitunno, Trevi, Montefalco, Foligno, Bevagna e Cannara, per approdare ad Assisi, lambendo i torrenti Marroggia, Teverone, Timia e il fiume Topino. Al centro di questo progetto, in parte già finanziato, c’è il consorzio della bonificazione umbra, con sede a Spoleto, che ha nel suo futuro una serie interessante di tracciati ciclabili. Questi entrerebbero in rete con quelli già esistenti, comprendenti anche il tratto lungo l’ex ferrovia Spoleto-Norcia. Si attendono iniziative volte a favorire la “mobilità  dolce” in una pista che colleghi l’anello ciclabile del Trasimeno con Perugia. Perché tanto interesse per la bici? Essenzialmente perché se ne percepiscono l’utilità, la versatilità e il piacere, contro la dittatura delle quattro ruote. Boris Johnson per far largo ai ciclisti ridisegna l’asse viabilistico di Londra da Ovest a Est investendo oltre un miliardo di euro. Con il sapore di una rivoluzione dei trasporti immaginata per rendere la città più viva, più pulita e più agile. Al contrario, l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, pur muovendosi sempre in bici, non ha saputo rendere la capitale un po’più bike-friendly. In Umbria di sindaci in bici ne ho incrociati pochi. Tra questi, Nando Mismetti a Foligno offre un’ immagine di ciclista da seguire. I motivi della rivincita della bici sull’auto sono spiegati bene da Ivan Illich che sul recente libro  Elogio della bicicletta (Bollati Boringhieri) teorizza una  “ristrutturazione sociale dello spazio che faccia continuamente sentire a ognuno che il centro del mondo è proprio lì dove egli sta, cammina e vive”. Un mondo a misura di bici a quindi a misura di uomo. E allora pedala per abbreviare le distanze, pedala per fare esercizio e sentirsi in forma, pedala per divertirsi. Pedala per essere cool, fashion, trendy, ma anche figo. Insomma pedalare come filosofia di vita. Lo hanno capito così bene molte amministrazione dell’Italia del Nord che, da sogno, hanno trasformato in progetto di 679 chilometri di ciclabile delle rive del Po da Torino a Venezia. Chissà se il mio sogno molto più modesto si potrà realizzare in Umbria? Intanto ci provano Assisi e il suo sindaco Claudio Ricci che hanno dato vita all’evento “Passione Bicicletta” per coniugare la scoperta del territorio con la pratica della bici.
Francesco. Un nome che evoca sempre “pace e bene”, desiderio di spiritualità, rispetto per gli altri, amore per il creato, ricchezza artistica. É un messaggio semplice che oramai si rinnova da otto secoli, facendo di Assisi un centro di riferimento e di attrazione per credenti e non, oltre che a un punto di diffusione nel mondo dei valori francescani. Assisi, per il suo peculiare fascino universale, richiama turisti da tutto il mondo. Nell’immediato dopo-guerra e fino agli anni ’80 era la sede più gettonata delle mete del turismo religioso. Tutti ricordano i treni speciali di tedeschi che raggiungevano S. Maria degli Angeli e Assisi, per goderne la bellezza e l’atmosfera di semplicità e di ascesi. Poi il fenomeno si è ridimensionato, anche per  la recessione che ha colpito il mondo occidentale, fino a raggiungere un basso plateau stazionario negli ultimi anni. Poi è venuto Francesco, il Papa argentino, il quale anche con il nome che si è dato, ha rinnovato l’interesse turistico (è blasfemia?) per la città del poverello. Certo, Jorge Mario Bergoglio, rifacendosi allo spirito del Santo, vuole cambiare nel mondo il volto del Cristianesimo che non può ridursi a un algido compendio di leggi, norme, dottrine e divieti, ma, come egli suggerisce, “un’esperienza di vita”. Quindi in Papa Francesco c’è il rilancio della missione religiosa, di un compito condiviso rivolto alla periferia, dove molti uomini vivono ancora nei bassifondi della storia. E la risposta di questa periferia ove convivono cristiani, ma anche agnostici ed atei, si sta manifestando anche in forma di turismo religioso. Sotto l’impulso dell’insegnamento di Francesco si vuole tornare alle fonti di quella semplicità  inclusiva di iniziative di trasformazione del mondo con la forza della testimonianza. Come fece S. Francesco. Ad Assisi. Ecco allora il turismo religioso e il probabile boom di turisti nella città francescana. Secondo Trivago Italia  e come ricordato da Ricci, Sindaco di Assisi, a pochi giorni dalla proclamazione del Papa, la città del poverello ha visto un raddoppio delle ricerche alberghiere stimato intorno al 122% in più rispetto ai dati dello stesso periodo degli anni precedenti. Certo, commenta ancora Ricci, “bisogna vedere quanto si traduce in arrivi nelle strutture alberghiere nei 12 mesi successivi”. In altre parole: è un risveglio primaverile del turismo religioso o la primavera del medesimo turismo attivato da Papa Francesco? Secondo gli esperti del settore e sulla scorta di esperienze acquisite dovrebbe esserci un incremento di arrivi del 10-15%. Ma attenzione! Non si può vivere solo aspettando il Papa Francesco per incrementare e consolidare il turismo religioso ad Assisi e in Umbria; occorrono una volta per sempre iniziative politiche serie, convincenti e sostenibili da parte di tutte le istituzione regionali. In tal senso il Comune di Assisi già si sta adoperando, anche in previsione dell’auspicabile visita dei luoghi francescani del neo Papa. 
In Umbria ovunque si sente profumo di cultura enogastronomica. É un profumo che emana da antiche civiltà e da emergenti stili di vita, dal contado come dai grandi centri, dalla cucina di campagna come dai cucinotti di suntuose ville, dal ristorantino di periferia come dal locale gourmand. Certo, occorre imparare a gustare tale profumo, a creare un'educazione che insegni il bello e lo diffonda. É un sapere, quello culinario umbro, che va sostenuto e legato alla storia di una terra millenaria che ha fatto dell'accoglienza, dell'ospitalità e del buon vivere il proprio viatico. Nel passato disquisire di cucina sembrava cadere nella banalizzazione, o al massimo equivaleva a rivolgersi solo agli addetti al lavoro. Appariva impossibile indirizzarsi con intelligenza a un pubblico diversificato, poiché la cultura culinaria non si presentava né efficace, né persuasiva al di fuori di ristretti circoli elitari e accademici. Mancava insomma l'integrazione nella vita della società e, come argomenta la filosofa Martha Nussbaum, "mancava la capacità di sintonizzarsi con l'esperienza di un vasto numero di persone, convinte che questa integrazione fosse stata impossibile". Oggi tutto è cambiato, anzi capovolto. Si è convinti che la cultura possa incrementare la crescita economica se non ignora fattori come la fantasia, l'indipendenza mentale, l'etica, la storia, la responsabilità sociale. Fattori che inseriti nella cultura culinaria restituiscono quella fragranza che rappresentava l'ingrediente basale di quei piatti che hanno fatto la storia dei nostri territori. E così si assiste ad un proliferare di manifestazioni culinarie – di diverso livello di presentabilità – , di talk-show televisivi, di articoli e di riviste in cui l'argomento cibo la fa da padrone. Senza parlare dei libri di cucina che inondano le nostre librerie. Ce ne è uno recente che si inserisce nella politica seguita da questa rivista che punta sulla filosofia e cultura umbra del gusto (vedi l'attenta rubrica di Marilena Badolato), dal titolo: "Il gusto come esperienza. Saggio di filosofia ed estetica del cibo" di Nicola Perullo. Ma la cultura culinaria non deve rimanere nei libri o essere appannaggio di pochi specialisti. Deve essere diffusa con ogni mezzo, non solo con le iniziative del singolo, ma essenzialmente con il veicolo delle istituzioni. Se queste non fanno proprio l'assunto che favorire la diffusione e l'esportazione dei prodotti agricoli equivale ad accrescere l'economia, si perde una grossa occasione di espansione sociale e lavorativa. E forse mai come in questo settore la rivoluzione culturale innalza il Pil. Le istituzioni non debbono fare riferimento a Socrate che nel Fedone sentenziava: "Ti pare che un vero filosofo o politico possa curarsi di piaceri come quello del mangiare e bere?", ma piuttosto metabolizzare l'affermazione di Aristotele: "Il gusto è un senso acutissimo perché crea un contatto non distante, ma intimo tra il soggetto che conosce e l'oggetto della sua conoscenza". Tradurre questo aforisma nelle varie lingue, potrebbe già essere parte del business di esportazione dei prodotti enogastronomici dell'Umbria.
Anche il nostro periodico si converte al green, o meglio, continuando la sua linea di valorizzazione della "Green Economy" con i puntuali interventi del nostro collaboratore Walter Leti, dà testimonianza della "rotta verde", posizionando Riflesso, da questo numero, sulla carta riciclata. Perché? Forse la crisi economica che ci attanaglia spinge alla maturazione di una comune crescita culturale sullo smaltimento dei rifiuti e sulla produzione di energie alternative. Il tempo delle vacche magre ci conduce, tra l'altro, a guardare con occhi nuovi le ferite inferte alla natura dall'avidità di pochi. Anche se, a chi vendeva l'anima al dio del profitto o del potere, qualcuno si opponeva indicando percorsi alternativi volti alla salvaguardia ambientale, di cui ne faceva il proprio core business. In un mondo globale caratterizzato dall'aumento della domanda di materie prime, si impone la filosofia della raccolta differenziata e dello sviluppo dell'industria del trattamento, alla quale contribuisce in maniera determinante la filiera degli imballaggi e della carta riciclata, compresi i giornali. Si sente oramai l'esigenza di creare le condizioni per una reale "Società del riciclo". Entro il 2020, secondo il Sistema Conai (Consorzio nazionale imballaggi), dovranno essere riciclati il 50% dei rifiuti di carta, plastica, metalli e vetro prodotti in Italia. Su questa tematica in Umbria non siamo messi male. Alcuni esempi di imprenditori che hanno sposato la filosofia dell'impatto zero sono, tra i tanti, le aziende Brunello Cucinelli, Listone Giordano e Castello Montevibiano Vecchio, delle quali questo periodico si è già occupato. Anche le istituzioni non stanno a guardare. La Regione Umbria ha presentato nel dicembre scorso il nuovo marchio regionale "Green Heart Quality", per la certificazione di imprese, prodotti e anche amministrazioni pubbliche che rispettando un preciso disciplinare, potranno "certificare e rendere riconoscibili" le produzioni ambientalmente compatibili. L'Umbria è così la prima Regione d'Italia a dotarsi di un marchio di sostenibilità ambientale nella consapevolezza che investire in questo settore aumenta la capacità delle imprese di essere competitive. Il marchio è stato pensato per aumentare il valore dei prodotti, in particolare sui mercati esteri, per promuovere il territorio e per accrescere l'immagine della Regione Umbria, già Cuore Verde d'Italia, a "luogo dell'eccellenza ambientale". Nell'ambito della manifestazione "Ecomondo", tenutasi a Rimini lo scorso novembre, il direttore generale di Conai Walter Facciotti ha ricordato che: "grazie all'attività del Sistema Consortile è stato possibile sfruttare le cosiddette "miniere metropolitane"; i rifiuti urbani da problema si sono trasformati in una risorsa da valorizzare per produrre nuova ricchezza. In questo contesto, l'industria italiana della valorizzazione e della preparazione al riciclo è pronta a guardare avanti, investendo sempre maggiori risorse sia economiche sia umane. Con una ricaduta di 9.5 miliardi di fatturato annuo e di 100.00 unità di addetti ai lavori. Se è poco!

Fare impresa in Umbria

Lunedì, 10 Dicembre 2012,
Ci sono prospettive per migliorare lo stato delle imprese in Umbria? Fino a quando la nostra Regione continuerà a tenere il primato delle imprese che falliscono? Il trend è veramente allarmante: nell'ultimo anno l'incremento è stato del 27.9% con una salita consistente anche nei numeri: da 136 a 174. "Per una realtà come la nostra – argomenta Umbro Bernardini presidente di Confindustria Umbria – questi numeri rappresentano un'enormità. Bisogna cambiare rotta. A partire dalle infrastrutture occorre ricreare condizioni migliori. Quanto a collegamenti stradali e autostradali infatti la nostra situazione è praticamente uguale a quella di trent'anni fa." Non solo. L'Umbria ha ancora un altro primato: l'energia elettrica che in Italia costa 2259 euro l'anno in più rispetto alla altre nazioni europee, grava con 2654 euro sulle imprese umbre. Non chiediamo perché l'Umbria è ferma al 1980 nel campo delle infrastrutture, né a chi addurre la responsabilità degli elevati costi dell'energia elettrica. Né è nostro intento addentrarci sui motivi per cui le imprese non hanno innovato o rinforzato la loro struttura patrimoniale, né tanto meno tentare di comprendere gli istituti bancari quando chiudono la borsa a tante imprese. E' intenzione invece di immettere iniezioni di fiducia e di ottimismo nel variegato mondo dell'impresa. E ciò essenzialmente perché ognuno di noi ha esperienza di aziende umbre che navigano bene e di altre che hanno iniziato con il piede giusto. Sono esempi che danno coraggio e imprimono speranza per la creazione di imprese come fattore di vitalità e testimonianza di capacità di rinnovare la cultura locale. Sì, perché l'impresa deve essere considerata come vocazione, secondo la felice intuizione di Michael Novak, uno dei maggiori esperti di etica d'impresa. Impresa è abitudine al discernimento, tendenza a scoprire ciò che gli altri non vedono ancora. È anche capacità di concretizzare le intuizioni, cioè di realizzare cose mai viste prima. È capacità di prevedere sia i bisogni degli altri sia le combinazioni di fattori produttivi più adatte a soddisfare tali bisogni. Una delle più felici espressioni di tale orientamento sono le cosiddette "imprese sociali" ove non si fa impresa calcolando il diretto e immediato vantaggio personale, ma si guarda innanzitutto al bene della collettività. Anche in Umbria sta prendendo piede questa tipologia di impresa, che funziona meglio se veicolata dalla cultura imprenditoriale che valorizza le persone che coinvolge e su cui può contare e che insegna a confrontarsi con la realtà del mercato abbandonando schemi superati e pregiudizi ideologici.
L'estate che sta scivolando verso un autunno che speriamo non sia troppo caldo, viene archiviata come una delle più infuocate degli ultimi anni. E non solo da punto di vista meteorologico con le sue calure, siccità, incendi, ma soprattutto per l'atmosfera surriscaldata dalla politica, dalle polemiche partitiche, dalle discutibili iniziative di leader, dagli interventi di giudici d'assalto, dalla ventilata chiusura dell'ILVA a Taranto. Ci si divide su tutto. Persino l'Olimpiade di Londra è stata oggetto di controversie. La Pellegrini dall'altare alla polvere; al contrariola Rossi con la sua medaglia d'oro al tiro a piattello, esprime nella sua disarmante semplicità e bravura il vero volto dei giochi. A questi hanno partecipato anche degli atleti umbri, senza medaglie (tranne il bronzo ad Andrea Giovi per la pallavolo) ma tutti accumunati da quello spirito decouberteniano che conferisce all'Olimpiade il valore aggiunto di ogni competizione sportiva. Ma gli umbri non sono preoccupati delle mancate medaglie; altri sono i problemi che li assillano. Emergenza siccità, stato di calamità per l'agricoltura, infiltrazioni criminali nel tessuto economico e sociale, ventilata chiusura di centri direzionali e fabbriche, aumento della disoccupazione giovanile. Nulla di nuovo. Su questi problemi paginate di quotidiani ci hanno "riscaldato" il cervello per tutta l'estate. Ma ce l'hanno riscaldato anche per un altro paio di motivi: l'eliminazione o l'accorpamento di istituzioni, il varo seppure parziale della riforma sanitaria umbra. Terni scompare come provincia, a meno che non intervengano salvataggi dell'ultimo momento. Ma serve veramente la provincia? Non dovevano essere tutte eliminate nel 1970 quando sono state istituite le regioni? A chi hanno giovato? Pensiamo male se diciamo essenzialmente ai politici? E chi protesta se si effettua la fusione dei piccoli comuni che in Umbria passerebbero da 92 a 50 dopo il "disboscamento". Certo no i cittadini quando si spiega loro che accorpare significa semplificare e sburocratizzare. E soprattutto effettuare risparmi che potrebbero esser dirottati versi servizi sociali. Senza amputare tradizioni e culture di comuni confinanti. Lo stesso vale per l'accorpamento dei tribunali che in Umbria rimangono tre: Perugia, Spoleto, Terni. La tematica della fusione delle ASL e di alcuni servizi, inserita nel contesto della riforma sanitaria umbra, ha una valenza più pregnante poiché muove maggiori interessi, di cui la salute è il principale. Si parte sempre dalla spending review montiana, che vede nel risparmio e nell'eliminazione di sprechi l'asse portante delle strategie sanitarie, per portare alla gente un messaggio di novità che significa mantenere la qualità del servizio a fronte di innovazioni assistenziali che richiedono adattamento e responsabilità. Certo è duro spiegare ad un cittadino di S. Giustino che deve recarsi ad Orvieto per un accertamento diagnostico eliminato nel suo territorio a causa della spending review. E che dire a quella donna che vorrebbe partorire all'ospedale di Assisi il cui punto nascita è stato cassato perché i neonati dell'anno precedente erano di poco inferiore a quello previsto dalle norme vigenti (500)? Grandi, piccoli problemi che l'Umbria risolve con la sua determinazione e coesione sociale. Caratteristiche che fanno piacere l'Umbria a tante persone.
Alcuni lettori di "Riflesso" ci chiedono il motivo per cui insistiamo sulle cose belle ed eccellenti dell'Umbria, a fronte delle negatività che la investono. Domanda più che lecita. Ma fa parte del nostro target concentrarci sui tesori della Regione per valorizzarli, per amplificarne il significato, per farli conoscere meglio. Insomma per condurli su un palcoscenico in cui tutti possono ammirarli, apprezzarli, seguirli. Non siamo interessati alla scoop la cui ipnosi finisce per paralizzare la società. Non ci lambisce la bramosia di riempire spazi, ma di elaborare utilmente il contenuto di eventi che inducono ad apprezzarne la componente storica, culturale, artistica, economica. Certo, c'è crisi. Tuttavia ci piace esaltare chi in silenzio, ma con efficacia, affronta la crisi attuale con la certezza della crescita o della ricrescita. Anche perché la parola crisi in greco significa crescita. "Riflesso" cerca allora chi nella crescita vede un' opportunità, un percorso che stimola a ritrovare ed esprimere le migliori energie. Si parla giustamente della crisi di sicurezza in alcune città umbre, ove la violenza la fa da padrone. Lasciamo ad altri il commento e l'analisi sociologica. A noi piace invece mettere in risalto la bella notizia, diffusa dal National Geographic, che le località più romantiche d'Italia sono concentrate tutte in Umbria, per via dell'alta concentrazione di borghi medievali, di antiche palazzi, di meravigliose opere d'arte, di suggestive viuzze strette. Certo, c'è crisi economica e del lavoro. Chi non la vede, che non la sente? Eppure, "Riflesso" vuole esaltare l'iniziativa di S. Francesco e del francescanesimo che, contrariamente alla diffusa icona, hanno dato risposte anticipate a domande economiche del presente. Lo hanno ricordato recentemente i francescani del Sacro Convento di Assisi, in un meeting internazionale, alla presenza del ministro Passera. Tutti si lamentano della sanità in Umbria, anche sulla scorta dei recenti tagli assistenziali ed ospedalieri. Noi rispondiamo che in Umbria si vive più a lungo di tutte le altre regioni (tranne le Marche), motivandone le cause, essenzialmente in termini di DNA regionale. Il fenomeno della droga miete più vittime in Umbria che in tutte le altre regioni. "Riflesso" mette in campo le motivazioni e le tante iniziative di volontariato e di assistenza che pullulano in tutto il territorio; non risolvono il problema, ma pongono in essere le componenti culturali positive per fronteggiare il fenomeno. Insomma, con il periodico vogliamo attivare lunghezze d'onda per celebrare iniziative e bellezze inedite dell'Umbria.. In questo numero ne è un esempio l'esposizione storica ed artistica di Cattuto sulla "Processione dei Bianchi" affrescata sulle pareti di una chiesetta di campagna a S.Anatolia di Narco. Sconosciuta ai più. Allora, l'ancoraggio a questi valori è il viatico del nostro periodico. Ed è anche la risposta a quei lettori della prima riga sulla definizioni dei nostri ruoli.
Vi racconto chi siamo, cosa vogliamo e dove vogliamo andare. Il nostro intento è quello di "costruire" una rivista capace di creare un percorso volto all'esaltazione del brand Umbria, come già hanno fatto con successo altre regioni quali la Toscana e le Marche. Con questo valore fondativo intendiamo dar vita ad un prodotto editoriale che rifletta l'Umbria all'insegna delle sue bellezze. L'impegno è quello di adoperarci a delineare un sistema integrato delle varie realtà locali e dei numerosi prodotti umbri per fondare un binomio vincente territorio-prodotto, per promuovere la nostra cultura e i nostri servizi e per mettere in rete gli operatori dei diversi settori. Non occorre troppo arredo, è necessaria tanta sostanza. Poca cronaca, anche se è la più democratica della disciplina, e molto territorio, seppure di questo termine si è abusato nel lessico e nei contenuti. Per noi il territorio è bellezza, quella bellezza che in accordo con Dostoeskij, "può salvare il mondo". Ma noi in Umbria di bellezze ne abbiamo tante e in molte direzioni. Basta sapere scoprirle, enfatizzarle, valorizzarle, diffonderle. In questo contesto anche la politica può essere bella se rappresenta un servizio agli altri e se depurata dagli orpelli attuali. Nel nostro territorio regionale abbiamo molti esempi di tale politica; basta farla emergere e darle voce. Di questo territorio parleranno non solo testimoni di svariate realtà regionali, ma anche corrispondenti da varie sedi a partire da Londra e Montecarlo. Così come altri personaggi che vivono o che sono vissuti in Umbria, esprimono sulla nostra rivista il loro motivato giudizio su uomini e su bellezze umbre. E come possiamo riflettere su "Riflesso" le numerose e polivalenti bellezze regionali? Bellezze culturali, artistiche, paesaggiste, enogastronomiche e storiche. Facendo parlare esperti di settore, abitualmente giovani, che con la loro determinazione, entusiasmo e grinta, fanno emergere ciò che brilla nel firmamento di una Regione che attende solo di essere valorizzata nei suoi gioielli, talvolta celati agli occhi dei più. Gli stessi giovani riescono ad estrarre il bello, in uno sforzo maieutico, anche da eventi o personaggi che possono non essere in prima fila, ma che rappresentano il motore di questa Regione con la loro iniziativa, intraprendenza, fantasia e investimento. Sono insomma gli attori della nostra amata terra che troveranno uno spazio privilegiato per il contenuto e l'immagine del cuore verde d'Italia.
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