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Calamita Cosmica

Lunedì, 27 Gennaio 2014,
Arte,
Non è mai esistito un "mondo dell'arte", ma solo opere d'arte nel mondo, sosteneva Gino De Dominicis. Il suo Scheletrone, nel mondo, ci ha viaggiato. L’opera, realizzata in segreto, fu presentata per la prima volta al pubblico nel ‘90, presso il Centre National d’Art Contemporain, al Magazin di Grenoble. Da lì, senza stabile dimora, si è provvisoriamente adagiata al Museo di Capodimonte di Napoli, alla Mole Vanvitelliana di Ancona, in Piazzetta Reale a Milano, al Mac’s Grand Hornu nei pressi di Bruxelles, alla Reggia di Versailles e al MAXXI di Roma nel 2010, in occasione dell’apertura del museo, inaugurato proprio con una mostra dedicata a Gino De Dominicis. Infine la Calamita Cosmica – nome di battesimo della scultura – forse attratta dal magnetismo del centro del mondo, conclude il suo percorso proprio a Foligno (definita appunto, per antica tradizione, il “centro del mondo”). L’opera è colossale, anche per le sue dimensioni. Ventiquattro metri di tematiche ricorrenti nelle riflessioni dell’artista come morte-immortalità, immobilità, suggestioni dalla civiltà sumera che si materializzano in volti beffardi con nasi a becco. Superamento della forza di gravità e rapporto con lo spazio ultraterrestre tendono a svelarsi attraverso l’asta d’oro di 7 metri in bilico sul dito medio della mano destra dell’umanoide, che sembra calamitare su di sé l’energia del cosmo. Se oggi si crede che gli spazi deputati all'arte visiva abbiano il potere di compiere il miracolo di tramutare in opera d'arte qualunque cosa vi venga esposta, era la critica che sollevava l’artista, per quanto riguarda il caso in oggetto, il gap tra contenitore e contenuto appare risolto in maniera esemplare. Opera e teca si armonizzano in un unicum fatto di assonanze e contrasti, fuse in un ritmo che coinvolge. Calamita Cosmica, figlia di uno dei più significativi protagonisti dell’arte del secondo ‘900, necessitava di una casa grande quanto lei, non solo in senso dimensionale (la navata è appena due metri più lunga del Grande scheletro). Il suo scrigno è rappresentato dall’ex chiesa della Santissima Trinità in Annunziata, edificata a partire dal 1760 su progetto di Carlo Murena, allievo di Luigi Vanvitelli (che ha realizzato la Reggia di Caserta), come l’architetto folignate Giuseppe Piermarini (colui che ha progettato il Teatro alla Scala di Milano). Questa chiesa incompiuta ebbe nel tempo svariate destinazioni oltre a lunghi periodi di inutilizzo; i lavori di recupero post sisma ’97 l’hanno portata ad essere il secondo polo museale del CIAC – Centro Italiano di Arte Contemporanea di Foligno. Gli interventi hanno puntato a  mantenere l’aspetto originario del manufatto, ottimizzandone la funzionalità attraverso accorgimenti atti a garantire una perfetta fruibilità dell’opera.  Essa è visibile sia dal piano terra che dal livello superiore, grazie ad affacci laterali e ad un collegamento aereo in acciaio e vetro; i parapetti sono realizzati in Cor-Ten traforato con un pattern smaterializzante. La stessa finitura viene utilizzata esternamente per le rampe d’accesso e per un volume addossato ad un prospetto: un dialogo tra epoche diverse che lascia intuire che nell’ex chiesa qualcosa è accaduto. La curiosità invita ad entrare, ed a quel punto non resta che esporsi all’arte.