Cippi di confine tra Regno Borbonico e Stato Pontificio

Martedì, 15 Maggio 2012,
Arte,
 
Una scoperta archeologica è sempre entusiasmante. Lo è ancor più quando emergono reperti inediti come i cippi nel tratto umbro-laziale del confine tra lo Stato Pontifcio e il Regno Borbonico. Era il 1627 quando Urbano VIII istituì un organismo della Curia volto a tutelare l'integrità dello Stato, evitando cessioni illegali, risolvendo controversie con gli stati limitrofi e recuperando territori precedentemente persi. Papa Gregorio XVI (1831 – 1846) nominò l'ultimo rappresentante di tale istituzione per definire l'annosa e complicata questione del Confine tra lo Stato Pontificio e il Regno delle due Sicilie. Nel 1840 a Roma venne siglato il trattato di confinazione tra i due Stati in cui si fissava la linea di demarcazione su mappe dettagliate, seguendo ove possibile elementi naturali di divisione (montagne e fiumi). Su tale linea vennero impiantati inizialmente pali di legno , sostituiti in un secondo momento da 686 cippi in pietra locale, di forma cilindrica, alti poco più di un metro, recanti alla sommità una incisione che indicava da una parte il cippo precedente e dall'altra quella del cippo successivo. Sul lato rivolto verso lo Stato dei "Papalini" erano incise le due chiavi di San Pietro decussate e l'anno della posa (1846), sul lato rivolto verso i "Regnicoli" il giglio Borbonico ed un numero progressivo (con alcuni "doppioni" contraddistinti da lettere, ad esempio 649A e 649B, nei punti in cui calamità naturali avrebbero potuto alterare la morfologia del territorio). All'indomani dell'unità d'Italia molti dei cippi vennero abbattuti, rotolati lungo i fianchi delle montagne dove finirono per interrarsi o coprirsi di muschio, altri vennero rimossi, molti riciclati come colonnette da sistemare nei cimiteri o in edifici religiosi o pubblici. Questa è la storia per sommi capi, di quella che una storica inglese Georgina Masson, ha definito la frontiera che è durata più a lungo in Europa.