El turoon di Cremona

Mercoledì, 03 Gennaio 2018,
Per santa Lucia era il primo torroncino da gustare. Atteso lungamente dai bambini, chè poi sarebbero arrivati quelli di Natale. Il torrone andava sciolto in bocca senza masticare, ma si gustava anche quello di seconda categoria, il ciballo, venduto nelle bancarelle. Era quello di scarto, preferito dai bambini perché gommoso, che si lasciava masticare a lungo e quindi molto più buono. Ricordi di cremonesi sul loro torrone. In origine albume, miele e frutta secca appena tostata, ad arricchire un dolce lievemente abbrustolito: dal latino torrere, tostare e poi da “turun”, riportato nel trattato tradotto nel 1150 da Gherardo Cremonese “De medicinis et cibis semplici bus” di Abdul Mutarrif, un medico arabo di Cordoba dell'XI secolo. Con solo miele che permetteva il fantastico rompersi in mille briciole di quella “scheggia” o di quel “quarto di  stecca”, e solo più tardi con lo zucchero aggiunto. E Cremona lo fa subito suo. Vuoi per le quattro T di gloria cremonese – Torrone, Torrazzo, Tettazze, Tognazzi – vale a dire il dolce manufatto, l’antica torre campanaria, le abbondanti forme muliebri e il famoso attore italiano nato a Cremona; vuoi per la antica consuetudine delle spezierie e drogherie della città di radunare, a fine giornata, gli albumi avanzati dalla mescita del tuorlo d’uovo all’ostrica servito con qualche goccia di limone che i clienti chiedevano sin dal mattino. Tutti questi albumi venivano uniti al miele, rigorosamente di erba medica, trifoglio e ladino, e a quelle mandorle appena tostate con la loro sottile pellicola. La miscela di albumi e miele cuoceva lentamente in “fornacette” dal doppio fondo di rame, e veniva rimestata continuamente. Quando era cotta i “menatorrone” aggiungevano le mandorle tostate in precedenza. Il processo durava oltre dieci ore tanto da avere creato il proverbio “essere un mèena  turòon” a definire uno che la fa troppo lunga. Dopo tagliatura manuale, i torroncini venivano avvolti  nel “pergamyn” una carta leggermente oleata e ancora dopo nella stagnola azzurra, quella stessa che  si usava un tempo per fare i laghetti nel presepio di Natale. Venivano distribuiti poi con un carrettino tirato a mano o con appositi tricicli nei vari negozi della città. Il torrone, quello di seconda scelta, era venduto sfuso a pezzetti e tenuto in vasi con tappo a smeriglio affinchè non soffrisse l’umidità. Famoso, prezioso e tipico di Cremona era il “torrone giardiniera”, farcito di frutta candita, non difficile a farsi in una città che produceva la squisita mostarda. Già nel 1500 il torrone è attestato a Cremona. Veniva infatti donato nella ricorrenza del Natale dai rappresentanti cittadini alle autorità spagnole e al Senato di Milano:“[…] mandiamo scatole de copeta et torono […]. De Cremona alli 2 dicembre 1544” si legge in una lettera conservata nell’Archivio di Stato di Cremona. Copeta, parola originata dall’arabo qubbiat, cioè mandorlato, era un dolce simile al croccante, spesso preparato e inviato insieme al torrone. Ma in occasione del Natale anche nelle case si produceva il torrone. Le squisite croste ottenute dalla sua preparazione, quella goduriosa raschiatura, el chisòol, piatta e durissima e molto gustosa che rimaneva, alta un dito, sul grande paiolo, era attesa da tutta la famiglia, in special modo dai bambini. Per fare festa, perché significava che il Natale era vicino. Alla vigilia in tavola: tortelli di zucca, uno o due frutti belli di mostarda e poi, accanto al camino, i torroncini, il regalo tanto atteso. Ma solo per i bimbi bravi.  RICETTA   Semifreddo al torrone 200 g di torrone duro alle mandorle pestato grossolanamente, 250 g di panna liquida, 2 uova, 70 g di zucchero. Montate in una terrina la panna, unite i tuorli montati con lo zucchero, e poi delicatamente gli albumi montati a neve, infine il torrone spezzettato. Mescolate e ponete  nel freezer in uno stampo rivestito di pellicola trasparente  per almeno 5 ore. Potete servirlo a fette cosparse di cioccolato fuso caldo.