La storia della “Tripolina”: un’icona del design

Venerdì, 31 Marzo 2017,
Ci sono oggetti di design che hanno il potere di rappresentare l’epoca in cui sono stati creati. Poi ci sono quelli che superano la prova del tempo e ci raccontano una storia più vasta. Più che un’epoca, queste icone rappresentano la storia stessa ed i suoi processi di sedimentazione nel tempo. La sedia Tripolina è uno di questi oggetti. Creata nel 1855 dall’inventore inglese Joseph B. Fenby sotto il nome di Fenby Folding Chair, la sedia ed il suo originale meccanismo vengono brevettati solo ventidue anni dopo, nel 1877. La sedia, pensata principalmente per l’outdoor, viene inizialmente prodotta dall’azienda del suo ideatore, l’omonima J. B. Fenby Co., con uno sgabello in coordinato. L’azienda cade però in bancarotta nel 1879 prima che la sedia venga commercializzata. La versione originale della Tripolina presenta una seduta in pelle o in tela, aggrappata per mezzo di grosse tasche all'intelaiatura in legno, costituita da quattro gambe rese mobili da perni metallici. I materiali resistenti e l’ingegnoso meccanismo che permette la chiusura della sedia la rendono particolarmente adatta agli ambienti esterni. È nel 1904, dopo quarantanove anni dalla sua creazione, che la sedia viene presentata al pubblico per la prima volta alla Fiera Internazionale di St. Louis. La sedia attira immediatamente l’interesse di varie aziende produttrici ed il brevetto viene venduto in Francia, Italia e negli Stati Uniti. In America viene prodotta dalla Gold Medal Inc. azienda specializzata in attrezzature militari, da campeggio e mobili da esterno. Uno dei principali distributori commerciali è la famosa catena di vestiario Abercrombie and Fitch, in quegli anni specializzata in abiti ed attrezzature per la caccia, la pesca ed il campeggio.  Nonostante ciò uno dei primi usi conosciuti della sedia è l’utilizzo da parte delle truppe inglesi nelle campagne di guerra dell’inizio del Ventesimo secolo. La sedia diventa in Europa simbolo militare tanto da assumere la denominazione di “sedia del Generale” ma viene usata anche per safari, esplorazioni o semplici gite all’aperto principalmente per la sua capacità di rimanere stabile su terreni sabbiosi. In Italia la sedia diventa parte della storia più scura e meno discussa del nostro Paese. Negli anni Trenta la Fenby Chair inizia ad essere prodotta a Tripoli dall’azienda Italiana Viganò e viene adottata dalle truppe militari fasciste nelle campagne di colonizzazione della Libia. È proprio negli anni dei crimini di guerra della dittatura nelle colonie che assume la denominazione di “Sedia Tripolina”. Da allora ha ispirato un gran numero di complementi d’arredo ed è stata prodotta da varie aziende in diverse varianti. Uno dei più famosi design derivati dalla Tripolina è la sedia BKF, meglio conosciuta come sedia Butterfly, concepita a Buenos Aires nel 1938 dal Grupo Austral, collettivo di tre architetti argentini assistenti di Le Corbusier a Parigi. In Italia la tripolina viene omaggiata e consacrata definitivamente come icona del design da Franco Albini. Figura chiave del modernismo Italiano, Albini si rende noto soprattutto per i suoi interni commerciali e per i suoi allestimenti museali.  È a Genova che Albini presenta alcuni dei suoi capolavori museografici lavorando sugli allestimenti di ben quattro musei: Palazzo Bianco, Palazzo Rosso (che diventeranno un unico museo con Palazzo Tursi nel 2004), il Museo di Sant’Agostino ed il rivoluzionario Museo del Tesoro. Per Palazzo Bianco, che riapre nel 1950 dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, Albini pianifica un allestimento rigoroso e razionale, caratterizzato da linee semplici, materiali industriali e colori neutri. In contrasto con l’austerità geometrica degli elementi espositivi, Albini pone la Tripolina al centro delle stanze del museo, eliminando la classica panca. Con Albini la sedia ritorna all’ingegneria ed ai materiali originari ma diventa oggetto di lusso. La struttura in legno di frassino nero è sorretta da perni in ottone e coperta da una seduta in pelle conciata. La stanza museale si fa così salotto, ambiente domestico e confortevole dove la contemplazione dell’opera d’arte – concetto tanto caro agli esponenti della museografia modernista – diventa esperienza intima grazie al comfort della forma ed agli stimoli sensoriali dei materiali. Albini rivisita la Tripolina e la rende parte stessa della struttura museale trasformandola non solo in icona del design, ma in vera e propria opera d’arte. Vittorio Ricchetti