“Serse. Bianchi e Neri”

03.03.23 , Eventi , Collaboratore Riflesso

 

“Serse. Bianchi e Neri”

La Reggia di Colorno in provincia di Parma propone un raffinato racconto in bianco e nero di Serse. Sono “paesaggi dell’anima” quelli che l’artista triestino propone in questa mostra. Offrendo un percorso attraverso quei paesaggi, dalla natura incontaminata fino all’architettura che li abita e ne interpreta il senso.

“Serse. Bianchi e Neri” si potrà ammirare in Reggia dal 22 aprile all’11 giugno, in una mostra organizzata da Antea con la direzione di Antonella Balestrazzi, il patrocinio di Provincia di Parma, la collaborazione di Galleria Continua e il sostegno di Gruppo Spaggiari Parma s.p.a., Agenzia CFC – Reale Mutua – Parma. La mostra ed il catalogo (edito da Gruppo Spaggiari) sono a cura di Didi Bozzini.

“I disegni di Serse – scrive il curatore - non sono gli esercizi di un virtuoso iperrealista, ma le pagine di un racconto. Da leggere, da “ascoltare con gli occhi”, come se fossero i fogli del diario di un calligrafo. Oppure, le annotazioni minuziose di una fenomenologia dello sguardo. O ancora, i versi di un poema romanticamente ispirato alla sublimità della natura. Una scrittura di pietra, di luce e d’acqua, che parla della mente, dell’occhio e della mano. Un racconto con una sola voce narrante, diversi scenari e più strati di significato”.

“La superficie monocroma è invariabilmente in bianco e nero. Screziata dalla vibrazione delle tonalità di grigio che il chiaroscuro genera tra il bagliore e la tenebra, in un’apparente assenza di colore. Solo apparente, perché in realtà quelle nuances di perla o d’antracite sono veri e propri colori, i colori del pensiero. Cioè le sfumature della riflessione con cui l’artista tramuta le cose prima in idee e poi in figure. Perché, come ricordava Annibale Carracci, “disegnare è pensare con le mani”.

“Lo strumento di lavoro privilegiato, pressoché unico, è la matita di grafite. Prolungamento minerale della mano, che deposita sul foglio bianco le tracce della propria fatica. I sedimenti di un tempo lungo, meditativo, in cui il fare assume la forma di una liturgia laica. Ripetuta all’infinito, fino all’incantesimo. Fino all’apparizione di un’immagine della realtà, che sembra una fotografia, ma è un disegno. Il disegno di una fotografia”.

Dice Serse: "Sono attratto dalla sublimità della natura, dalla smisuratezza che la distingue e che ci attraversa lasciando in noi indelebili i segni della sua grandezza. I paesaggi che disegno non rinviano ad alcunché di esterno, ma a quella “immensità interiore” così cara alla poetica romantica. Sono dunque paesaggi dell’anima".

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