Alla Patty's Art Gallery, galleria online d’Arte Contemporanea di Patrizia Stefani, arriva tra i vari l'artista pavese Luigi Cei. Autodidatta, da bambino non amava l’arte in quanto nessuno lo incanalò e lo accompagnò a capire ed apprezzare le varie forme artistiche. Le ha però scoperte da solo ritrovandosi, poco più che ragazzo e senza alcun motivo in particolare, con alcuni pennelli in mano a dipingere nature morte. Dipingeva ciò che vedeva fuori dalla finestra ed era per lui semplicemente riprodurre delle forme, che potevano pure assumere colori e connotazioni differenti dall’osservato. Inizialmente nel suo percorso artistico, è prevalsa la parte figurativa, utilizzando anche le spatole e le mani.
Poi il pittore pavese è passato a rappresentare le città viste in orizzontale e verticale, scomposte e ricomposte, con porte d’ingresso aperte, finestre spalancate e chiuse, tetti a punta e l’uno sull’altro – tutto ciò, ha spiegato lo stesso Luigi Cei, come metafora dell’anima.
È in questo periodo che ha usato ogni tipo di materiale. Carta, pelle, stoffa, lustrini, passamanerie, pailette che ha tagliato, cucito ed imbastito. E, dopo un po’, non di meno si è stancato di ciò e ha sentito la necessità di qualcosa di più sintetico. Luigi Cei è approdato all’attuale ricerca nel campo dell’astrattismo materico. Un astratto, una semplificazione che gli dà il piacere di togliere gli orpelli, le decorazioni e di andare dritto all’anima senza troppi fronzoli, perchè ritiene che la comunicazione debba essere priva di barriere, immediata e sincera.
Luigi Cei gioca con i gialli, con i verdi chiari e scuri, con gli sfumati e li mischia con sabbia, con terra e con qualsiasi altra cosa gli permetta di dare rilievo e consistenza. Colore che, per lui, è vita. Le tonalità giallo-arancio, quelle che appartengono alla terra, agli alberi, alla natura le sue preferite. Le tinte calde sono le sue predilette benché a volte giochi perfino con i neri e i bianchi, quasi per una sfida con se stesso, per provare che alla fine la barriera dei colori non esiste. Desidera comunicare con segni ed ideogrammi come a condurre un discorso con qualcuno e vorrebbe quasi prendere per mano l’osservatore e illustrare così un percorso attraverso le personali emozioni, il personale vissuto, affinché ne rimanga memoria e un’eredità.