La Parola come Colonna

16.11.18 , Design , Collaboratore Riflesso

 

La Parola come Colonna

Se la Parola è un’opera, anche la Colonna lo è, ma la parola è anche ponte su cui poter far dialogare arte e design e la colonna potrebbe essere cosa il cui bene sta nel portare. E siccome, pare nella logica dei tempi ricercare più i punti di unione in un continuum non solo spazio-temporale, ma anche operativo, è all’interno di questo atteggiamento culturale in cui ora mi colloco per esprimere un pensiero sulla relazione fra arte e design. È solo in questo “quadro” che lo  faccio da artista. Dove io sono. E la mia attenzione vien colta da un “oggetto” che è portante, quindi parte di strutture progettuali, ma che anche si porta. Da sé. Sia arte sia design affondano in una dimensione creativa, ma mentre nel design il progetto è funzionale, l’arte mantiene (o dovrebbe mantenere) gradi di libertà.

L’Arte è indubbiamente un processo creativo, ma in un modo del tutto particolare. L’uomo con il suo ingegno libera mondi, pur occupando solo una piccola parte della dimensione totale dell'essere. Ma è attraverso il suo ingegno che l'uomo può partecipare ad una reale trasformazione della propria struttura fisica e mentale? Bisogna subito comprendere che una risposta ad una simile domanda presuppone una conoscenza, un sapere, una Techne che s’interroghi sull’inizio della creazione. E infatti in arte si parla di creazione e non di creatività. La creazione è libera dal proprio oggetto, dalla sua stessa realizzazione, esterna ad ogni finalità.

E solo quando l’uso di questo ingegno è libero, la creatività si accompagna alla volontà di essere e diviene creazione: il campo evolutivo della vera trasformazione.

Ed è su questo punto, dove siamo e dove ostinatamente restiamo, che premono alla fine tutte le richieste di senso, contemporanee e civili, e dove tutte insieme si condensano, e da dove le vorremmo rigettare indietro, più lontano possibile dal centro dell’occhio, dal quadro o più fuori ancora sul bordo o dietro l’inquadratura, nei telai, nei gangli, sugli agganci, o ancora meglio sulle pareti della stanza, nello spazio circostante, nel tempo. Ma se è vero che la negazione del quadro non può avvenire che nel quadro stesso, o nel dominio della visione, ne consegue un vedere di cui il Quadro è il Testimone, e dunque per l’arte una verità che non può spingersi così avanti da portare il vero oltre, nella Verità stessa. Ciò che gli corrisponde e insiste nella sua richiesta di senso, chiedendo per l'Arte e all'Arte un altro da sé, si crede per questo nel giusto, nel momento stesso che esce dal vero. “Non è possibile contestare questo – sono molto categorico – nel nostro organo visivo si traduce una sensazione ottica, che ci fa classificare come luce, semitono o quarto di tono, i piani rappresentati dalle sensazioni di colore. (La luce dunque non esiste per il pittore)”.Questo scrive Cezanne a Emile Bernard il 23 dicembre del 1904.

A proposito di luce, quella che splende nel buio e che solo l’artista vede. Che vede in immagine. Non vede la cosa, ma l’immagine della cosa. Ma non in una seconda immagine. La vede senza corpo e senza immagine. Perciò si forma un vortice astratto nell’occhio di Cezanne (lui scrive: la luce non esiste per il pittore).

Vortice che torna alla colonna dal vertice appuntito. Il punto apparso e celato. Autoriflesso nella concavità. Dove sale in un respiro fatto di tempi e ritmi cromatici e solide visioni che si aprono a ventaglio sulle linee d’angolo. Così abbiamo ricondotto di fronte all’occhio il volto di colui che vede. Esso si trova in quell’indefinito angolo aperto della stanza dove forse l’incontro tra l’arte e il design sarà reso possibile.

Marco Bagnoli

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