Il design sociale nella sua dimensione umana

Giovedì, 24 Marzo 2016,
Tra gli anni '60-'70 Victor Papanek (1923-1998), designer ed educatore, fu uno dei primi a mettere in discussione il ruolo del design e del designer. Scrisse “Design for the real World” pubblicato nel 1971, sottotitolato “Human Ecology and Social Change” uno dei libri più importanti sull’argomento. Cercava di immaginare uno scenario possibile sempre più vasto, disapprovando manufatti che per loro natura erano appariscenti e inutili, affermando che: “Il design è lo sforzo cosciente e intuitivo per imporre ordine significativo”. Vorrei parlare di tre progetti, affini al pensiero di Papanek, che per le loro caratteristiche, rappresentano un buon esempio di design sociale, ovvero un tipo di progettazione nata per scopi di tipo umanitari e problemi socio-politici. Tramite approcci e scale di grandezza molto diversi tra loro: progetti che tentano di apportare un miglioramento a livello globale e progetti che tengono conto del singolo individuo. Ognuno di questi interventi ha un proprio valore, indipendentemente dalla loro portata. Somiya Shabban soffre di gravi problemi motori e comunicativi, per esprimersi usa un libro di dialogo in cui indica parole ed immagini che desidera esternare; questo metodo, anche se versatile, risulta il più delle volte laborioso. Johanna Van Daalen, progettista olandese, ha voluto aiutare Somiya ad esprimersi in maniera più efficace, in particolar modo Samiya aveva il desiderio di esprimere la frustrazione in maniera più spontanea. Hanno quindi, progettato insieme una spilla che viene attivata da un interruttore posto vicino alla sua testa e consente di leggere la scritta: Samiya says “SOD OFF”. Fatta interamente di plastica raccolta dall’oceano, Sea Chair rappresenta il culmine di un progetto iniziato da Studio Swine e Kieren Jones ed esplora la possibilità di incoraggiare industria peschereccia a pescare plastica anziché pesce, per produrre sedie. La seduta viene prodotta grazie all'uso di semplici stampi e strumenti che consentono la sua produzione in mare. Ogni sedia viene corredata di un cartellino con le coordinate geografiche dell'esatto punto dell'oceano dove è stata prodotta. Il progetto ha lo scopo di far conoscere a quante più persone il crescente problema dei rifiuti plastici presenti nei nostri oceani. E-NABLE, l’evoluzione del progetto RoboHand creato nel 2011 da Richard Van As, un carpentiere del Sudafrica, che perse la mano destra in un incidente sul lavoro, ed Ivan Owen, un ingegnere americano costruttore di guanti meccanici per costumi da cosplayer. I due intuirono un principio di meccanismo per una protesi leggera e robusta. Il risultato della loro collaborazione è una protesi stampata in poliammide. Ogni protesi viene adattata al paziente in maniera semplice ed immediata, ad un costo irrisorio cambiando la vita di molte persone. Grazie a iniziative come queste, il design si dimostra sempre di più una disciplina in grado di plasmare in meglio le vite di molti, sapendo mantenere l’attenzione sui problemi reali del mondo, offrendo soluzioni puntuali e soprattutto umane. Matteo Squaiella

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