Un piccolo lume su Georges de La Tour

22.02.20 , Arte , Collaboratore Riflesso

 

Un piccolo lume su Georges de La Tour

L’artista della luce, e si pensa subito a Caravaggio. In quegli stessi anni esiste però un artista rimasto ironicamente oscurato dalla fama del Merisi, le cui tele sono state per anni attribuite a Vermeer, Velázquez, o lo stesso maestro italiano. È il francese Georges de La Tour, esposto nella sua prima personale italiana al Palazzo Reale di Milano.

La retrospettiva “Georges de La Tour. L’Europa della Luce” curata da Francesca Cappelletti celebra l’ormai famoso artista francese del Seicento, come abbia esplorato la complessa e antitetica relazione tra luce e ombra e come si sia relazionato con i grandi del suo tempo (da Gerrit van Honthorst o Gherardo delle Notti a Paulus Bor). Il misterioso artista lorenese è stato riscoperto e catalogato solo nel corso del Novecento: in lui lo storico dell’arte Jacques Thuillier aveva rivisto «il trionfo della storia dell’arte e la sua giustificazione», ricordando che senza la disciplina e lo studio (a cominciare dalla correlazione stabilita da Herman Voss tra i dipinti e la persona dell’artista nel 1915) «La Tour non esisterebbe». È poi la stessa curatrice Francesca Cappelletti, la studiosa che da dottoranda ha regalato al mondo il riconoscimento della Cattura di Cristo del Caravaggio insieme alla collega Laura Testa, ad averlo definito «una meteora».

I soggetti prediletti del misterioso artista lorenese sono i santi di ogni giorno: sia perché le sue rappresentazioni iconografiche non hanno attributi agiografici - come gli umili san Filippo e la Vergine bambina - sia perché molti protagonisti delle tele (40 sono quelle riconosciute come sue in tutto il mondo, per lo più di formato piccolo o medio) sono spesso uomini di strada, musici, bari e anziani. Tutte le sue tele sono ritratti: intimi, notturni o al lume di una flebile candela (coperta come nella Maddalena penitente o scoperta come nel Giobbe deriso dalla moglie), spesso privi di sfondo paesaggistico fin quasi a una avanguardistica monocromia (come per il Giovane che soffia su un tizzone).

Una curatela sobria, a tratti asciutta, accompagna con vivi contrasti di luce e ombra i visitatori lungo la suggestiva esposizione, che accosta strettamente i dipinti dell’autore a quelli dei suoi contemporanei. Distinguibili dal colore delle pareti espositive prima ancora che dallo stile (rosse quelle del protagonista, grigie quelle degli artisti di accompagnamento), le opere sono giustapposte con un criterio tematico (vale per la “stanza delle Maddalene” come per quella dei tradimenti di Pietro). Uno stile mutevole, che riflette con viva forza il suo tempo e le influenze italiane e fiamminghe (basta guardare l’importanza degli abiti proto-borghesi di alcuni santi o il focus che pone sul denaro), si può riscontrare in La Tour. A tratti questa mutevolezza può confondere i visitatori che non conoscano il periodo e né la recente ricostruzione del percorso dell’artista.
Difficili sono le ricostruzioni sui percorsi di apprendimento di La Tour (incluso un possibile viaggio in Italia), sulla cronologia delle opere e le tecniche utilizzate, anche perché i quadri riconosciuti come suoi autografi sono sparpagliati in moltissimi spazi espositivi. L’esposizione delle 15 opere (più una attribuita, il suo San Sebastiano) a Palazzo Reale - nessuna delle quali conservate in Italia - è stata infatti possibile solo grazie a una preziosa collaborazione internazionale tra l’istituzione milanese e 28 gallerie internazionali (tra cui gli americani Paul Getty di Los Angeles e la National Gallery of Art di Washington, e i francesi Musée départemental Georges de La Tour di Vic-sur-Seille e il Musée des Beaux-Arts di Nantes). Palazzo Reale deve questo risultato a una ormai solida fiducia guadagnata in ambito internazionale, supportata da forti assicurazioni (che si può dire pesino sul prezzo del biglietto, che senza facilitazioni tocca i 14 euro).

La mostra apre una preziosa finestra su un artista poco conosciuto, forse non dando la soddisfazione delle certezze cui siamo ormai abituati per molti artisti post-rinascimentali. È anche per questo “Georges de La Tour. L’Europa della Luce” sembra accostare una piccola candela al fondamentale ruolo che la storia dell’arte ricopre - restando nell’ombra - nella scoperta e riscoperta del genio artistico.

Giulia Giaume

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