Museo Paleontologico “Luigi Boldrini”, un viaggio nel tempo tra reperti fossili

La collezione dei fossili del Museo di Pietrafitta è un tesoro inestimabile per il suo valore scientifico, dato dall’immenso numero delle specie rinvenute.

01.08.17 , Arte , Giuliana Spinelli Batta

 

Museo Paleontologico “Luigi Boldrini”, un viaggio nel tempo tra reperti fossili

Esso è considerato uno dei più ricchi  ed importanti patrimoni paleontologici in Europa ed è intitolata a Luigi Boldrini, paleontologo e minatore che fu colui che negli anni ’60 iniziò con grande fatica, in qualunque condizione atmosferica  e con molta pazienza a trovare, recuperare e conservare migliaia di reperti fossili di elefanti, rinoceronti, bovidi, cervi, orsi, scimmie, castori, tartarughe, pesci, anfibi, uccelli, topi, foglie, semi, conchiglie di bivalvi e gasteropodi e una nuova specie di grande cervo a cui è stato dato il nome “Megalocerus boldrini”.

I fossili furono rinvenuti tutti nel bacino che circonda l’alta valle del fiume Nestore. Il “viaggio nel tempo” inizia con due vetrine che affrontano da una parte temi generali quali i processi di fossilizzazione e il trasporto pre-seppellimento dei resti organici, dall’altro i meccanismi che hanno portato al formarsi della lignite di Pietrafitta. Segue poi un percorso  che tra vetrine e diorama si snoda tra le varie specie animali rinvenute partendo dai vertebrati non mammiferi, pesci, anfibi, rettili uccelli per poi  passare ai mammiferi che rappresentano il cuore della collezione con ben quattordici specie diverse tra roditori, carnivori, scimmie ungulati e proboscidati.

La parte finale del percorso è dedicata ai pachidermi,una delle più ricche collezioni al mondo di Mammuthus meridionalis specie vissuta nel Pleistocene inferiore.

Si possono addirittura ammirare otto scheletri più o meno completi, le cui ossa sono state lasciate nelle cosiddette “culle” di cemento armato, nella posizione che avevano al momento del ritrovamento nello strato di lignite. Nell’esposizione viene colto ogni aspetto sia della vita che della  morte, dissoluzione e fossilizzazione “muta testimonianza di morte e conservazione” dei vari reperti.

Le ligniti di Pietrafitta sono parte della successione del bacino di Tavernelle che circonda l’alta valle del Fiume Nestore  nella parte centro-occidentale delle Regione Umbria. La deposizione delle ligniti ebbe inizio durante il Pleistocene inferiore e sono in gran parte costituite da materiale erbaceo tra cui prevalgono le famiglie delle Graminaceae delle Cyperaceae, probabilmente perché queste piante si depositano in zone paludose e ricche di materiale organico.

Verso la fine del Pleistocene (1,4-1,5 milioni di anni fa) successive attività tettoniche causarono la fine della sedimentazione palustre e l’inizio di un ciclo di erosione. Da qui l’utilizzo della lignite in tutta Italia fino agli anni ‘50-’60, pur essendo un combustibile di scarso pregio per la produzione di energia elettrica, essendo molto umida. Come detto in precedenza la prima raccolta paleontologica si deve a Luigi Boldrini, detto “ Gigino”, un assistente capoturno di miniera.

Egli negli anni ’60 ispezionando sistematicamente e continuamente gli scavi dei depositi ligniferi cominciò a trovare i primi resti fossili e capendone l’importanza cominciò ad appassionarsi alla loro ricerca e al loro recupero. Il primo reperto che trovò fu quello di una tibia di Leptobos (bovide) a cui seguì qualche anno dopo il ritrovamento di un elefante . Mano a mano che i reperti aumentavano non avendo a disposizione  dei locali adeguati dove collocarli costruì delle baracche di legno che però venivano distrutte per rubare i reperti, alla fine decise di trasferirli in un suo locale per tenerli al sicuro.

Nonostante il pensionamento nel 1975 egli torna alla miniera dove continuerà le ricerche per altri quattordici anni. I reperti sono stati visti da numerosi esperti italiani e stranieri e tutti sono stati  concordi nel confermare l’altissimo valore della collezione tanto che nel  2011 fu inaugurato il Museo che testimonia non solo l’attività mineraria, la storia dei macchinari e delle opere ingegnose usate per l’estrazione della lignite ma anche le vicende sociali dei lavoratori e degli abitanti del territorio, strettamente legate al destino della miniera tanto da rappresentare un bellissimo esempio di archeologia industriale.

Purtroppo il Museo è chiuso da qualche anno e si spera che le autorità locali e regionali prendano finalmente in considerazione la possibilità di riaprirlo quanto prima per permettere a scolaresche e appassionati di poter finalmente godere della ricchezza lasciataci in eredità da Giuseppe Boldrini.

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