E penso che, compromessa la natura, diventa in parte compito dell’arte ripristinare equilibri di elementi e trasformare così ambienti e atmosfere per permettere a noi – esseri ancora così umani –un accesso a una dimensione più alta.
Deve essere stato il richiamo che genera la medesima terra d’origine o la considerazione che l’arte sia una porta, che mi porta (e chiedo scusa per il gioco di parole) con la mente a un’opera di Marco Bagnoli vista al Forte di Belvedere a Firenze.
Un uomo di pietra, statuario, fermo sul bordo di una vasca che, nel vortice d’acqua ai suoi piedi, accoglie il cielo specchiato e il canto di corvi vivi sopraggiunti al richiamo di gracchiare di rane che, artisticamente, dal nido posto fra la canna e l’albero fanno da tappeto sonoro all’opera.
Un Noli Me Tangere di 3 metri e mezzo di marmo per una scultura che – finita Ytalia (la collettiva che raccoglie 100 opere di arte contemporanea) – cercherà dimora.
Fortunato il giardino, il parco, la piazza o la collezione che la potrà permanentemente ospitare.
Magari si potrà chiedere del destino dell’opera allo studio inaugurato il maggio scorso da Bagnoli e che, oltre ad essere luogo di genesi e creazione delle opere di tanto geniale artista, è anche spazio deputato a un rinnovato incontro fra arte e impresa. Uno spazio e un’arte al servizio del territorio dunque? E di chi il territorio lo abita? Interrogativo che già fa giungere sulle ali di un’aquila strana il profumo di un’arte di valore. E come sostiene Marco Bagnoli “L’opera d’arte è sempre un miracolo, perché essa avviene nel mondo e per il mondo ed essa si fa nonostante ciò che esiste nel mondo”.
Cinzia Chitra Piloni