Immaginando la Venezia dei superstiti

22.04.20 , Arte , Samantha Chia
Ph. GAD

 

Immaginando la Venezia dei superstiti

Negli ultimi due mesi ho visto una Venezia che non credevo possibile, la Venezia dei “superstiti”, ovvero dei suoi abitanti.

Forse affermare di averla realmente vista potrebbe risultare un’esagerazione, sarebbe più corretto dire che ne ho vista solo una porzione, quella nel sestiere di Santa Croce che va da Campo San Stae, dove vivo, a Rio Marin, dove si trova uno dei supermercati nelle vicinanze. Di conseguenza, come adesso appare il resto della città ho dovuto immaginarlo.

Non potendo girovagare per il centro storico spesso mi ritrovo a fare un tour mentale dei luoghi a me cari, sono forse “banali” chicche di quotidianità veneziana per chi questa città la vive, ma sono anche alcuni di quei luoghi che saranno fruibili liberamente quando potremo lasciare le nostre case e passeggiare in una Venezia profondamente diversa in superficie, e allo stesso tempo poco esplorati per chi nella Serenissima è solo di passaggio.

La prima tappa del mio itinerario immaginario porta in fondo al canale di Cannaregio. Sulla Fondamenta di fronte al campus universitario di San Giobbe si accede alla zona di Sacca San Girolamo, conosciuta anche come Baia del Re. Ci sono vari aneddoti che circondano questo soprannome, il più quotato è quello secondo cui venne chiamata così per il freddo di quest’area, esposta ai venti della laguna nord, richiamando le rigide temperature incontrate nel 1928 dal generale Umberto Nobile nella Baia del Re delle Isole Svalbard, campo base della sua spedizione al Polo Nord. Qui si trova una zona residenziale, palazzine popolari costruite dal 1929 che non spiccano per bellezza nella Venezia delle dimore patrizie. Questa zona si affaccia direttamente a nord della laguna, tre piccole e moderne corti, con arcate incoronate da un lampadario a sfera, si tuffano letteralmente in acqua per mezzo di scalinate dalle motivazioni a losanghe. È straordinario guardare in basso e vedere i gradini sommersi dall’acqua, come se conducessero in qualche luogo sottomarino. Qui ci si può sedere e contemplare la vista che dà sulla terraferma, collegata dal Ponte della Libertà. Lo sguardo rimbalza dal passaggio dei treni, a quello delle auto e delle imbarcazioni, non solo paesaggio antropico: nelle giornate limpide si vedono le Dolomiti, e d’inverno vederne addirittura le cime innevate è suggestivo.  Questa è una zona che è stata risparmiata dal turismo di massa, ma il passaggio delle imbarcazioni è costante. Provo ad immaginare adesso la vista, rilassata grazie alla diminuzione del moto ondoso e del traffico sul ponte. 

La seconda tappa mi catapulta nel sestiere di Dorsoduro, precisamente nel quartiere popolare di Santa Marta. Per raggiungerlo, venendo da Piazzale Roma, si può passare per Fondamenta dei Cereri per farsi accompagnare dalle poetiche parole di Diego Valeri: “Qui c'è sempre un poco di vento, a tutte le ore di ogni stagione, un soffio, almeno un respiro. Qui da tanti anni io ci vivo e giorno dopo giorno scrivo il mio nome sul vento", incise sulla targa a lui dedicata. Si prosegue fino al lungo ponte in legno che segna l’ingresso nel quartiere, una volta entrati non ci sono più ponti da attraversare. Passeggio tra le case colorate, le calli, le corti e i panni stesi dappertutto, arrivo fino all’imbarcadero, è lunedì e nel campo antecedente c’è il mercato locale.  Santa Marta, quando la vita scorre in maniera ordinaria, è popolata soprattutto da studenti (qui si trova l’ex cotonificio oggi sede dello IUAV) e abitanti, poco battuta dai turisti. Oggi me la immagino come in un lunghissimo e spopolato weekend di metà agosto. Santa Marta è un’isola felice, versione lagunare di una periferia ex industriale, dove potersi godere un isolamento a cielo aperto.

Infine, il mio viaggio immaginario mi porta su un vaporetto per raggiungere l’isola della Giudecca. Scendo alla fermata di Palanca e mi faccio tutta la riva guardando il classico paesaggio da cartolina di Venezia -a cui in fondo non ci si abitua mai- fino a raggiungere il mio ultimo luogo: il Giudecca Art District (GAD). Questo è il recente quartiere d’arte permanente dell’isola, inaugurato nel 2019, ex cantiere navale dove si trovano anche studi di artisti e artigiani. Le undici gallerie d’arte contemporanea che lo popolano potrebbero essere ancora chiuse al mio arrivo, mi si stringe il cuore al pensiero, ma i luoghi per fortuna non sono fatti solo di cose, ma anche di atmosfere, l’atmosfera è insita nel luogo e posso goderne liberamente. Entro, sbircio dalle vetrate delle gallerie per vedere se ci sono ancora opere esposte, ma poi mi soffermo sull’architettura cantieristica, sul rosso dei mattoni, cammino fino ad arrivare ad affacciarmi sulla laguna sud e osservo le barche colorate qui parcheggiate. Per un attimo non sono nemmeno più a Venezia. L’attimo dopo ancora apro gli occhi e sono nella mia stanza.

Casa mia è a Venezia anche se Venezia non la vedo.  Tuttavia, i luoghi che ricordo sono reali e saranno ancora lì quando usciremo. È questo il momento di rivalutare questa città nella sua totalità, partendo dai suoi angoli più celati.

Samantha Chia

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