È aumentata nel mondo la consapevolezza del pericolo che minaccia da tempo il delicato equilibrio eco-ambientale della Terra. La correlazione fra l’incremento dei gas serra nell’atmosfera e l’aumento globale della temperatura trova, oggi, il consenso quasi unanime della comunità scientifica. Il dissolvimento dei ghiacci dell’Artide e il moltiplicarsi di fenomeni atmosferici estremi sono le spie evidenti di un fenomeno che mette in forse lo stessa sopravvivenza dell’umanità. Si avverte forte l’urgenza di correre ai ripari. Per fronteggiare quella che è diventata una vera e propria emergenza i rappresentanti di quasi 200 Paesi si sono incontrati a Parigi nel 2015 e altrettanti nel 2016 a Marrakech, in occasione delle annuali conferenze CoP (conferenza delle parti) sotto l’egida dell’ONU. Già lo scorso anno in Francia si è registrata una significativa, quanto inedita, assunzione di responsabilità da parte dei 195 Paesi partecipanti, come sintetizzato nel documento conclusivo approvato all’unanimità: “Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per la società umana e per il Pianeta” si richiede pertanto “la massima cooperazione di tutti i Paesi” con l’obiettivo di “accelerare la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra”. Per la prima volta, vale la pena sottolinearlo, i quattro maggiori “inquinatori” del mondo, Stati Uniti, Europa, Cina e India hanno accettato e sottoscritto le conclusioni del CoP21 di Parigi. A un anno di distanza nuova conferenza sull’ambiente a Marrakech. Si è cercato di dare in questa occasione un approccio più pragmatico e operativo alle azioni ritenute necessarie per limitare il progressivo riscaldamento globale e contenere l’incremento della temperatura media mondiale al di sotto di 1,5 gradi centigradi, rispetto al valore dell’era pre-industriale, per la fine di questo secolo. Al termine di due settimane di lavoro, i negoziatori dei 193 Paesi presenti hanno fatto registrare un bilancio solo in parte positivo. Tra i punti approvati alla conclusione degli incontri figura comunque un passo in avanti importante: l’impegno da parte dei Paesi partecipanti di fare il punto delle rispettive emissioni di CO2 entro il prossimo anno. E’ stato approvato pertanto l’obbligo di rivedere gli Indc (Intended nationally determined contributions) vale a dire le promesse di riduzione della CO2 emessa in atmosfera entro il 2018 e non più entro il 2020 come precedentemente ipotizzato a Parigi. Gli attuali Indc appaiono inadeguati. Continuando l’attuale trend l’incremento globale della temperatura potrebbe toccare la cifra disastrosa di tre gradi centigradi. Deludenti sono stati i risultati in tema di agricoltura. Si tratta di un settore che influenza pesantemente le variazioni climatiche rimanendone a sua volta fortemente condizionato. Gli stessi allevamenti di bestiame sono importanti concause di inquinamento atmosferico. Dalla resa agricola dipende la sopravvivenza di milioni di persone nel Pianeta. Manca in questo campo un accordo fra nord e sud del mondo, in particolare sugli aiuti di cui hanno bisogno i Paesi più vulnerabili per adattarsi ai mutamenti del clima. Proprio la questione dei finanziamenti è stata uno dei pilastri dei negoziati della CoP di Marrakech. I risultati sono stati del tutto insoddisfacenti. Se si escludono i contributi per l’adattamento promessi da Germania, Italia, Svezia e Belgio (81 milioni di dollari) la trattativa non è sostanzialmente decollata. Per di più il ruolo degli Stati Uniti è diventato improvvisamente imprevedibile stante i diversi indirizzi che la nuova Amministrazione potrebbe adottare. Il Presidente Donald Trump non condivide le analisi fin qui formulate sui cambiamenti climatici, ritenendole frutto di pura e semplice ideologia politica. Esiste pertanto la concreta possibilità che gli USA, responsabili da soli del 20% di tutte le emissioni globali di gas serra, recedano dagli impegni finora assunti con conseguenze anche troppo facili da immaginare.