La rapidissima crescita esponenziale della popolazione mondiale costituisce, paradossalmente, la più grave minaccia alla sopravvivenza del genere umano. Qualche cifra: l’Homo sapiens-sapiens, nostro diretto progenitore, è comparso sulla Terra circa 35.000 anni fa. A partire da allora la dinamica demografica ha fatto sì che alla fine del ‘700, agli albori della rivoluzione industriale, la popolazione planetaria raggiungesse i 750 milioni di individui. Al giorno d’oggi, dopo poco più di due secoli, questo numero si è decuplicato e per il 2100 le proiezioni demografiche fornite dall’ONU prevedono il raggiungimento del catastrofico traguardo di oltre dieci miliardi di anime. Alcuni effetti dell’inarrestabile antropizzazione del pianeta sono ben evidenti già oggi. Il gas serra è aumentato dell’80 % negli ultimi 45 anni, causato, secondo gli addetti ai lavori, per il 50% dall’incremento degli abitanti e dall’utilizzo sempre più rapinoso delle risorse naturali. Scarseggia anche l’acqua potabile. La FAO informa che entro la metà di questo secolo la disponibilità pro-capite scenderà del 73%. La deforestazione, inoltre, sta raggiungendo limiti non più sostenibili e contribuisce sensibilmente all’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera.
Altro fenomeno preoccupante è l’irreversibile, crescente prevalenza degli insediamenti urbani a scapito delle aree rurali e la conseguente crescita del numero delle megalopoli che contano decine di milioni di abitanti.
L’analisi, anche solo sommaria di questi dati evidenzia, inoltre, la presenza di forti asimmetrie nelle dinamiche demografiche delle varie aree geografiche. A fronte dell’impetuosa crescita della popolazione in Africa, India e, in generale, nei Paesi in via di sviluppo, c’è da registrare il desolante quadro delle culle vuote, diventato ormai tratto caratteristico dei paesi ricchi. Da questa crescente asimmetria trae origine una fortissima spinta al riequilibrio che si concretizza nelle bibliche migrazioni di cui è testimone la cronaca dei nostri giorni. Appare pertanto indifferibile, ormai, la necessità di arginare il fenomeno, adottando strategie accuratamente mirate, lontane da schematismi o pregiudizi di sorta. I Paesi Occidentali dovranno rilanciare la propria natalità. Nel 2015, in Italia, si è registrato un saldo negativo di circa 150 mila unità. Quello che desta maggiori preoccupazioni è l’invecchiamento generale della popolazione. Da diversi anni, ormai, la fascia degli “over 65” ha superato quella degli “under 15”. Le ovvie implicazioni sono costituite dal crescente peso di spese mediche e pensioni, mentre nel contempo si è ridotta la fascia d’età che produce ricchezza.
Nel terzo mondo, viceversa, l’esplosione demografica sta portando a un rapido esaurimento delle già modeste risorse locali. Tanti paesi africani e asiatici saranno pertanto costretti a ridurre la natalità. La soluzione del problema non si potrà raggiungere facilmente né in tempi brevissimi. Occorrerà adottare un mix di provvedimenti per incoraggiare la natalità in Occidente mediante, soprattutto, un più deciso e sostanziale supporto economico alle famiglie, accompagnato da altre misure come, ad esempio, la flessibilità degli orari di lavoro da estendere anche ai padri e la creazione capillare di strutture di custodia dei bambini in ogni singola realtà aziendale o pubblica.
Nei paesi in via di sviluppo, invece, per il contenimento dell’incontrollata natalità si renderà necessario formulare un piano di aiuti articolato su più versanti, come la creazione di strutture produttive ad hoc, l’adozione di un adeguato programma di educazione, la diffusione di efficienti presidi sanitari e l’innalzamento generale del tenore di vita.
In assenza di misure adeguate sarà inevitabile un puro e semplice processo di trasferimento e “ripopolamento” dal prolifico Sud del mondo allo “sterile” Nord.
La sfida è globale e altrettanto dovrà essere la risposta. Non ci sono alternative.